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Gestione Smaltimento Rifiuti Ospedalieri

Analizzando il complesso quadro normativo che regola la gestione e lo smaltimento dei rifiuti, si constata che ormai è diventato indispensabile anche per le strutture sanitarie attivare una gestione corretta e attenta non solo dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo (di seguito PRI), ma anche di tutte le altre tipologie di rifiuti da esse prodotte.

Il nuovo D.P.R. 254/03 disciplinante i rifiuti sanitari, come peraltro il precedente D.M. 219/00, ha impostato un sistema di gestione basato su tre cardini fondamentali:

  • sicurezza (le strutture sanitarie devono provvedere alla gestione dei rifiuti prodotti secondo criteri di sicurezza, D.P.R. 254/03, art. 1 comma 4);
  • prevenzione e riduzione della produzione (le autorità competenti e le strutture sanitarie adottano iniziative dirette a favorire in via prioritaria la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti (D.P.R. 254/03 art. 1 comma 3);
  • economicità (le strutture sanitarie pubbliche devono, altresì, provvedere alla gestione dei rifiuti prodotti secondo criteri di economicità D.P.R. 254/03, art. 1 comma 4).

Il fattore della sicurezza per gli operatori è tenuto in considerazione da tempo nella gestione dei rifiuti presso le aziende sanitarie. Le stesse aziende negli ultimi anni hanno dedicato notevoli sforzi nella riduzione dei costi di gestione, agendo soprattutto sui fornitori del servizio di smaltimento dei rifiuti.

Come riportato nel documento “Monitoraggio tipologie di Rifiuti prodotte da strutture sanitarie – anno 2001”, stampato dalla Regione Lombardia, Direzione Generale Sanità nel mese di ottobre 2002, nel triennio 1999 2001 i costi per lo smaltimento dei rifiuti sanitari a rischio infettivo sono infatti scesi dell’8%, a fronte di un incremento della produzione dei rifiuti pari al 7,8% nello stesso periodo.

Nel grafico n. 1 sono riportati in ordine decrescente i costi per kg di rifiuto pagati dalle strutture sanitarie della Regione Lombardia.

I dati contenuti nel citato documento sono stati incrociati con quelli contenuti in un altro documento redatto dalla Regione Lombardia: “Rilevazione delle attività gestionali ed economiche delle ASL e delle Aziende Ospedaliere, anno 2001 “, da cui sono stati ricavati alcuni dati di attività quali giornate di degenza, ricoveri, media letti, numero di prestazioni per esterni e per interni, giorni di presenza in day hospital. Rielaborando, quindi, i dati così ricavati, è stato possibile costruire degli indici indicativi della produzione per ogni Struttura Sanitaria studiata, come i Kg/giornata di degenza ed il costo per giornata di degenza.

Tutti questi indici possono essere messi in relazione alla produzione di rifiuti ed ai costi sostenuti dalle singole Aziende Sanitarie per il loro smaltimento, per valutare la reale efficacia ed economicità dei diversi sistemi di gestione.

I valori ottenuti sono riportati nel grafico n.2. Per esempio, si prenda in considerazione il costo di smaltimento per kg di rifiuto per l’anno 2001 relativo alle strutture sanitarie n. 24, 25, 26 e 27, pari per tutte a circa 0,806 /kg. Si può osservare che con costi al kg assolutamente simili, alcune Aziende Sanitarie hanno una maggiore produzione specifica (kg/giornate degenza), con un conseguente maggior costo per giornata di degenza. Questo significa che, a parità di costi di smaltimento e di attività, le Aziende sanitarie si ritrovano a sostenere oneri molto diversi per lo smaltimento dei rifiuti, dipendenti dai sistemi impostati per la loro gestione.

Sembra pertanto evidente che occorre identificare quali possono essere i sistemi per ridurre la produzione dei rifiuti all’interno di una struttura sanitaria, senza prescindere dai fondamentali requisiti di sicurezza e avendo ben in mente che un eventuale leggero aumento dei costi di gestione potrebbe essere ampiamente compensato dai benefici derivanti dalla riduzione dei rifiuti da smaltire.

I fattori da cui dipende la produzione dei rifiuti sanitari si possono fondamentalmente ricondurre a:

  • tipologia e “quantità” di attività sanitaria svolta in un presidio;
  • tipo di prodotti e/o materiali utilizzati nell’attività di assistenza sanitaria che danno origine a rifiuto e tipo di materiali utilizzati per il confezionamento;
  • modalità di gestione del rifiuto.

Dal momento che non si potrà influire sugli aspetti che concernono aumenti o variazioni nell’attività sanitaria (es. aumento delle prestazioni), l’obiettivo dovrà necessariamente essere quello di agire sulle corrette modalità di gestione del rifiuto (evitare errori di conferimento ed il contatto tra ciò che è realmente infetto e ciò che non lo è), ed eventualmente sul tipo di rifiuto prodotto (es. nel caso di introduzione di materiale monouso in tessuto non tessuto) o sulle modalità di confezionamento del rifiuto.

CRITERI PER RIDURRE LA PRODUZIONE DI RIFIUTI SANITARI A RISCHIO INFETTIVO

La diminuzione delle quantità prodotte deve essere perseguita, innanzitutto, operando delle scelte a livello direzionale e facendo seguire ad esse adeguate azioni di informazione e formazione tese a generare tra gli operatori coinvolti nella produzione e nella raccolta dei rifiuti un atteggiamento di responsabilizzazione e di collaborazione.

Per quanto riguarda i rifiuti sanitari a rischio infettivo (PRI) bisogna realizzare una particolare attenzione, come viene ribadito nel Decreto Ministeriale, a minimizzare il contatto di materiali non infetti con potenziali fonti infettive per poter così ridurre la produzione dei rifiuti PRI.

La corretta separazione dei rifiuti, con la riduzione dei rifiuti erroneamente conferiti come rifiuti pericolosi a rischio infettivo, presenta notevoli implicazioni sulle altre raccolte differenziate, in quanto ridurre la massa dei rifiuti infetti significa dover ricorrere ad altri circuiti di conferimento.

Si pensi, ad esempio, che fino a poco tempo fa tra i rifiuti PRI venivano quasi sempre raccolti i contenitori in vetro di fleboclisi non contaminate, che possono invece essere avviati a recupero. Si pensi, inoltre, al progressivo aumento dei consumi di materiale monouso, ad esempio per le prestazioni sanitarie (tessuto non tessuto di camici, mascherine, ecc.), che contribuiscono ad aumentare in peso ed in volume i rifiuti a rischio infettivo.

Sul fronte delle altre categorie di rifiuti bisogna prestare una particolare attenzione al destino degli imballaggi, all’approvvigionamento e all’utilizzo di reagenti, farmaci e derrate alimentari. L’obiettivo che ci si deve porre è quello di valutare gli aspetti che possono influire sui quantitativi prodotti in modo tale da comprendere le tendenze in atto ed agire in una logica di prevenzione della produzione del rifiuto.

L’INTRODUZIONE DELLE RACCOLTE DIFFERENZIATE NEI PRESIDI OSPEDALIERI

Considerando che lo smaltimento deve costituire solamente la fase residuale del percorso seguito dai rifiuti (art. 5 D. Lgs. 22/97), è necessario potenziare, oltre alla prevenzione, le varie forme di valorizzazione delle risorse in essi contenute tramite riutilizzo, riciclaggio e recupero di materia prima o di energia. La premessa necessaria per portare a termine queste operazioni consiste nella separazione dei rifiuti dal circuito dei rifiuti, speciali o urbani, destinati a smaltimento, vale a dire l’introduzione o il potenziamento delle raccolte differenziate, raccomandate anche nel D.P.R. 254/03 per favorire il recupero di materia di alcune categorie di rifiuti.

All’interno del sistema di gestione dei rifiuti la raccolta differenziata, ponendosi tra la produzione del materiale rifiuto e il suo conferimento al sistema di smaltimento o di recupero, costituisce uno dei momenti più critici.

Infatti coinvolge tutti i diversi e numerosi produttori di rifiuti e condiziona la riuscita delle fasi successive in base alla percentuale degli errori di conferimento.

L’introduzione delle raccolte differenziate, pur comportando alcuni sforzi organizzativi e un periodo di transizione durante il quale il personale di presidio deve abituarsi alle nuove modalità di raccolta dei rifiuti, può raggiungere un buon grado di efficienza.

Occorre ricordare inoltre che il potenziamento delle raccolte differenziate, contribuendo a focalizzare l’attenzione sul problema dei rifiuti e introducendo delle modifiche alle abitudini consolidate dei reparti, consente generalmente un miglioramento della “qualità” dei rifiuti sanitari a rischio infettivo e una conseguente riduzione delle quantità.

In particolare, i rifiuti per cui deve essere favorito il recupero di materia ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 254/03 sono:

  • contenitori in vetro di farmaci e di soluzioni per infusione, di alimenti, di bevande;
  • altri rifiuti di imballaggio in vetro, di carta, di cartone, di plastica o di metallo;
  • rifiuti metallici non pericolosi;
  • rifiuti di giardinaggio;
  • rifiuti della preparazione dei pasti provenienti dalle cucine delle strutture sanitarie;
  • liquidi di fissaggio radiologico non deargentati;
  • oli minerali, vegetali e grassi;
  • batterie e pile;
  • toner;
  • mercurio;
  • pellicole e lastre fotografiche.

Su questi materiali dovranno, pertanto, essere concentrati gli sforzi delle strutture sanitarie ed in particolare sui materiali che costituiscono le quote percentuali più rilevanti in peso.

Inoltre, occorre valutare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le diverse frazioni merceologiche che costituiscono i rifiuti prodotti dai presidi e fornire le necessarie indicazioni per l’ampliamento o l’introduzione delle raccolte differenziate (raccolta mono o multimateriale, tipi di contenitori da utilizzare e loro collocazione nel presidio, organizzazione del deposito temporaneo ecc.).

Considerando che la struttura ospedaliera non può essere considerata un universo autonomo, svincolato dal resto del territorio, per le raccolte che rientrano nei circuiti dei rifiuti urbani ed assimilabili, è necessario tenere conto anche delle direttive già esistenti a livello provinciale o Comunale, verificando lo stato delle raccolte in atto nel contesto territoriale in cui il presidio ospedaliero è inserito e valutando la loro applicabilità alla struttura sanitaria.

Per ottenere una precisa caratterizzazione del rifiuto assimilabile all’urbano e definire le indicazioni operative per la raccolta differenziata bisogna in primo luogo valutare il livello di conoscenza sui quantitativi di rifiuti assimilabili prodotti da ciascun presidio ospedaliero e caratterizzare le raccolte differenziate esistenti da un punto di vista quantitativo.

Le informazioni sui quantitativi, oltre a quelle sulla qualità del materiale, sono fondamentali per valutare la convenienza di una raccolta differenziata. Non bisogna dimenticare che i rifiuti assimilabili agli urbani costituiscono la quota più rilevante in peso rispetto al totale della produzione di una struttura sanitaria (circa il 60 %) e che la gran parte può essere avviata a recupero (vetro, carta e cartone, plastica, umido di preparazione e somministrazione dei pasti).

Occorre pertanto:

  • quantificare la produzione della raccolta indifferenziata, recuperando i dati eventualmente disponibili presso le amministrazioni comunali, oppure effettuando delle stime (ad esempio in base al volume e al numero di container presenti e alla frequenza del loro ritiro);
  • studiare i quantitativi di rifiuti registrati sui Modelli Unici di dichiarazione Ambientale (MUD) delle diverse strutture sanitarie;
  • creare uno “storico della produzione in base ai dati raccolti, in modo da evidenziare eventuali tendenze in atto (ad es. trend di crescita).

L’introduzione o l’estensione delle raccolte differenziate comporta notevoli sforzi organizzativi e qualche investimento iniziale. Tuttavia, al di là delle indicazioni della normativa che spingono in questa direzione, le garanzie di riuscita sono molto buone e possono tradursi in consistenti risparmi alla luce della prossima applicazione del sistema tassai tariffa previsto dall’art. 49 del D. Lgs 22/97 e dettagliato nel D.P.R. 158/99.

Strategie pratiche per ridurre i rifiuti e aumentare la raccolta differenziata

Stabilita la validità dell’approccio integrato alla gestione dei rifiuti prodotti da una struttura sanitaria, si pone il problema di organizzare e rendere operativo un sistema di questo tipo.

Occorre ribadire che non esiste una soluzione che risulti univocamente applicabile a tutte le Aziende Sanitarie, poiché esse differiscono per struttura, numero e tipologia di unità operative, entità del tasso di occupazione/giornate di degenza, e per la loro “storia” nell’organizzazione della gestione dei rifiuti (modalità di raccolta, deposito e movimentazione dei rifiuti).

Le attività che è necessario programmare per il raggiungimento degli obiettivi sopra citati possono essere suddivise in tre fasi principali:

  • indagine conoscitiva delle tipologie e delle quantità di rifiuti prodotte, nonché delle modalità di raccolta e stoccaggio;
  • elaborazione dei dati rilevati e di quelli disponibili presso gli uffici amministrativi;
  • identificazione delle proposte di intervento.

INDAGINE CONOSCITIVA

L’indagine conoscitiva deve essere condotta all’interno delle strutture sanitarie mediante sopralluoghi nelle Unità operative e interviste con i capo sala o responsabili tecnici ed è focalizzata sui seguenti ambiti:

  • rilevazione delle tipologie di rifiuti prodotti e delle relative modalità di raccolta, e identificazione di eventuali errori nel conferimento;
  • rilevazione di particolari problematiche dell’Unità operativa o servizio;
  • valutazione delle prestazioni dei contenitori per rifiuti a rischio infettivo, in particolare per rifiuti taglienti;
  • valutazione delle procedure in uso che regolano la gestione dei rifiuti nel presidio;
  • caratterizzazione e quantificazione (stima dei volumi e dei pesi) dei rifiuti prodotti e individuazione delle tipologie di rifiuti da raccogliere in modo differenziato;
  • eventuale identificazione di reparti o servizi significativi in cui sperimentare la raccolta differenziata del rifiuto assimilabile all’urbano.

Risulta inoltre utile un approfondito sopralluogo nelle aree di deposito temporaneo e nelle aree di ritiro dei rifiuti per una valutazione delle caratteristiche strutturali, funzionali e di sicurezza.

Alla raccolta di informazioni presso le Unità Operative è necessario affiancare il reperimento di alcuni dati relativi all’attività sanitaria e di produzione di rifiuti; essi devono essere utilizzati per confrontare la produzione di rifiuti della propria struttura sanitaria con quella di altre strutture simili. Tali indici possono essere utilizzati per individuare gli obiettivi di riduzione raggiungibili, tenendo nella dovuta considerazione le tipologie di unità operative presenti.

I risultati delle analisi qualitative e quantitative sui rifiuti assimilabili agli urbani dovranno invece essere rielaborati per calcolare le percentuali di raccolta differenziata e le quantità di materiale da avviare a recupero. Questi dati potranno essere utilizzati anche per valutare la possibile entità della detassazione (se prevista dai regolamenti comunali) o per stimare la possibilità di abbattere la quota variabile della tariffe comunali di futura elaborazione.

PROPOSTE OPERATIVE

I risultati dell’elaborazione dei dati di carattere quantitativo e le proposte operative identificate devono necessariamente avere un seguito, relativamente a:

  • definizione di protocolli per la corretta gestione dei rifiuti;
  • organizzazione di piani operativi per l’introduzione o l’estensione della raccolta differenziata (indicazioni sul numero e sulla tipologia dei contenitori da utilizzare, sui locali dove dislocarli, sui percorsi ottimali per il conferimento alle aree di stoccaggio temporaneo);
  • eventuale sperimentazione delle raccolte differenziate;
  • identificazione dei locali dove dislocare i contenitori, il numero e la tipologia di contenitori da utilizzare, nonché informazione sulle tipologie di rifiuti da conferire;
  • monitoraggio della raccolta differenziata, mediante pesatura di tutti i rifiuti prodotti dalle Unità Operative oggetto di sperimentazione e valutazione della qualità del materiale;
  • valutazione dei risultati della sperimentazione;
  • campagna di informazione e sensibilizzazione del personale.

LA SCELTA DEI CONTENITORI RIUTILIZZABILI QUALE METODO PER LA RIDUZIONE DEI COSTI DI SMALTIMENTO

Come indicato precedentemente, un secondo fattore che influenza in modo diretto la produzione dei rifiuti è la tipologia di materiali utilizzati per l’erogazione delle prestazioni sanitarie o per il confezionamento dei rifiuti.

Tralasciando per motivi di spazio la trattazione dell’impatto delle diverse tipologie di materiale sulla quantità dei rifiuti, di seguito vengono riportate alcune considerazioni relative all’utilizzo di contenitori per la raccolta dei rifiuti.

Il D.M. 254/03, senza modificare le disposizioni del precedente D.M. 219/00, riporta nell’art. 8 le caratteristiche che devono avere i contenitori destinati al confezionamento dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo. Tali contenitori devono essere caratterizzati da doppio imballaggio, con quello esterno dotato di “caratteristiche adeguate per resistere agli urti e alle sollecitazioni provocate durante la movimentazione e il trasporto”, e può essere “eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d’uso”.

Il sistema di confezionamento con contenitore riutilizzabile prevede l’utilizzo di imballaggi particolarmente resistenti, che consentono un loro riutilizzo per più volte a seguito di idonea disinfezione presso impianti dedicati.

Tali contenitori, omologati UN e pertanto idonei al trasporto di materie pericolose, sono dotati di coperchio con chiusure reversibili, e pertanto possono essere riaperti e svuotati del loro contenuto una volta arrivati all’impianto di smaltimento. La disposizione contenuta nell’art. 10 comma 4 del D.M. 254/03 (Le operazioni di caricamento al forno devono avvenire senza manipolazione diretta dei rifiuti) viene assolta utilizzando sistemi di svuotamento automatici, che proteggono da ogni rischio infettivo gli operatori addetti allo scarico.

I contenitori esterni svuotati vengono avviati verso impianti di bonifica per le operazioni di disinfezione con soluzioni detergenti e disinfettanti.

Monitoraggi biologici svolti da enti terzi (PMIPARPA) sugli impianti di proprietà del gruppo DDS hanno confermato l’efficacia del processo di disinfezione, come dimostrato dalla tabella 1, riguardante l’esito dei monitoraggi svolti nel corso del 2002. Come si può notare, il livello di contaminazione risulta generalmente medio basso anche prima delle operazioni di trattamento e ciò è dovuto soprattutto al fatto che i contenitori visibilmente contaminati vengono inceneriti con il contenuto senza essere avviati a bonifica. Al termine delle operazioni di lavaggio e disinfezione la carica batterica risulta notevolmente ridotta, e prove di caratterizzazione svolte dagli stessi enti di controllo hanno provato che generalmente tale contaminazione è causata da batteri di origine ambientale.

A fronte di un’accertata sicurezza del sistema a contenitori riutilizzabili, è possibile affermare che il loro utilizzo consente di coniugare esigenze di carattere economico ad obiettivi di maggiore sicurezza per gli operatori e rispetto dell’ambiente. Il sistema a bidoni riutilizzabili innalza notevolmente il grado di sicurezza delle condizioni di lavoro di tutti gli operatori coinvolti nella produzione, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, eliminando i rischi di punture accidentali con aghi erroneamente gettati direttamente nel contenitore flessibile, e abbattendo il rischio biologico di contaminazione con fluidi accidentalmente sversati durante la fase di movimentazione.

Il maggiore vantaggio in termini economici ed ecologici è rappresentato dalla diminuzione dei rifiuti avviati a smaltimento, ottenuta riutilizzando più volte il contenitore esterno anziché avviarlo a incenerimento con il rifiuto, come nel caso degli imballaggi monouso.

La riduzione delle quantità di rifiuti utilizzando i contenitori riutilizzabili è documentata da rilevazioni effettuate presso alcune strutture ospedaliere della Regione Lombardia prima e dopo l’introduzione del sistema a bidoni riutilizzabili.

Dall’analisi dei dati emerge che, a fronte di un aumento medio annuo pari al 3,21 % (dati Regione Lombardia), nelle aziende in cui è stato introdotto il sistema a bidoni riutilizzabili, l’anno successivo all’introduzione del nuovo sistema si è ottenuta una riduzione dei rifiuti pari al 17%.

Alla riduzione dei rifiuti dovuta al mancato smaltimento del contenitore esterno occorre inoltre considerare l’ulteriore risparmio dovuto alla riduzione del numero di contenitori utilizzati per il confezionamento dei rifiuti: l’utilizzo di un contenitore a pareti rigide offre maggiori garanzie al personale che si occupa del confezionamento dei rifiuti, e ciò comporta che il contenitore viene riempito di più rispetto ad un contenitore più leggero, ad esempio in cartone.

Dati rilevati presso i clienti DDS hanno rilevato che i contenitori monouso in cartone sono caratterizzati da un tasso di riempimento pari a 0,075 kg/lt, contro i 0,083 kg/lt ottenuti con contenitori riutilizzabili. Tale differenza di riempimento si traduce in 0,5 kg di rifiuto in più per contenitore, con un conseguente risparmio di contenitori di circa il 9,5%

LE TECNICHE DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI SANITARI PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO: SMALTIMENTO O STERILIZZAZIONE?

Fino all’emanazione del DM 254/03, l’unica opzione tecnicamente ed economicamente sostenibile per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo risultava essere l’avvio a termodistruzione in impianti dedicati o in impianti per rifiuti speciali e/o urbani dotati di un sistema di alimentazione appropriato e idoneo a garantire un’efficace tutela della salute e dell’ambiente.

La sterilizzazione dei rifiuti all’interno della struttura sanitaria o in impianti esterni era consentita dall’art. 7 del DM 219/00, ma i problemi di smaltimento dei rifiuti sterilizzati rendevano di fatto ingestibile le operazioni di sterilizzazione: seppur assimilati agli urbani e pertanto assoggettabili a privativa comunale, questi rifiuti erano, e tuttora sono, difficilmente accettati dai comuni per le difficoltà logistiche che essi causavano, e per il fatto che l’incenerimento presso impianti per rifiuti urbani o speciali era consentito solo a prezzi del tutto simili a quelli dei rifiuti a rischio infettivo (a causa dell’elevato potere calorifico, che non viene modificato dal processo di sterilizzazione).

Il nuovo D.M. 254/03, pur mantenendo l’impostazione generale del precedente Decreto, ha aperto nuove possibilità di smaltimento dei rifiuti sterilizzati, rendendo di fatto economicamente sostenibile tale pratica: l’apertura ad impianti dedicati alla combustione di combustibile da rifiuti (CDR), e pertanto dimensionati per questa tipologia di rifiuti, consente la riduzione dei costi di smaltimento del rifiuto sterilizzato, con conseguente ritorno economico dell’intera catena di smaltimento.

Il conferimento dei rifiuti in discarica in assenza di impianti di termodistruzione è inoltre ora soggetto alla sola autorizzazione regionale, senza intesa del Ministero dell’Ambiente e della Salute.

A seguito dell’emanazione della nuova normativa, le possibilità di trattamento dei rifiuti a disposizione di un’Azienda sanitaria sono pertanto tre:

  • avvio a incenerimento dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;
  • sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo all’interno della struttura stessa;
  • avvio a sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo in impianti esterni dedicati.

Vengono affrontate di seguito alcune valutazioni di carattere tecnico e economico relative alle possibilità di sterilizzazione dei rifiuti sanitari. La sterilizzazione è un processo finalizzato ad eliminare la caratteristica di rischio infettivo dal rifiuto che vi è sottoposto.

Essa deve cioè determinare l’assenza dei microrganismi, inclusi sporigeni e virus, in grado di riprodursi nella massa di rifiuti trattati; tecnicamente, a fine trattamento la carica microbica deve risultare tale da garantire uno Sterility Assurance Level (SAL) non inferiore a 10-6.

Il processo di sterilizzazione deve comprendere anche la triturazione e l’essiccamento dei rifiuti; questi ultimi passaggi obbligatori permettono di ottenere numerosi vantaggi:

  • la non riconoscibilità dei rifiuti stessi;
  • una maggiore efficacia del trattamento, dovuta sia all’aumento del rapporto superficie/volume del materiale da sterilizzare ottenuto con la triturazione che alla creazione di condizioni sfavorevoli alla proliferazione microbica raggiunte con l’essiccazione;
  • la diminuzione di volume (70% in media) e di peso (30%) dei rifiuti, che risultano meno ingombranti e più facilmente trasportabili. L’abbattimento della carica microbica può essere ottenuto con diverse tecniche, ognuna con specifici vantaggi e svantaggi:
  • sterilizzazione a calore secco: elevato potere penetrante, assenza di corrosione o altri effetti dannosi, ma processo estremamente lento (tempi superiori a 2 ore con temperature di 160°C), applicabile su quantità molto ridotte, che richiede la successiva triturazione, con costi aggiuntivi.
  • sterilizzazione mediante autoclave a vapore saturo: elevato potere sporicida, non tossico, facilmente reperibile sul mercato, ma occorre personale qualificato per la conduzione, richiede il successivo essiccamento e triturazione, con costi aggiuntivi; i reflui provenienti dall’essiccamento possono non essere conformi ai limiti allo scarico imposti dal D. Lgs 152/99, e devono pertanto essere smaltiti come rifiuti.
  • sterilizzazione mediante microonde: possibilità di trattare elevate quantità di materiali, ma la tecnica delle microonde non consente elevati livelli di sterilizzazione, presenta elevati costi operativi e richiede anch’essa il successivo essiccamento e triturazione;
  • sterilizzazione mediante triturazione ad alta velocità: ottenimento di un prodotto già essiccato e triturato, con ridotte emissioni di prodotti inquinanti, ma richiede elevati costi di manutenzione e di gestione, e risulta sensibile all’immissione di oggetti metallici di una certa dimensione.

Ogni tecnologia di sterilizzazione presenta diversi costi di gestione, che dipendono da una serie di fattori, dal costo di ammortamento dell’impianto alla quantità di materiale trattato, dai consumi (elettrici, idrici, ecc) ai costi di manutenzione.

Per valutare l’installazione di un impianto di sterilizzazione all’interno di una struttura sanitaria occorre inoltre valutare i costi aggiuntivi di trasporto e smaltimento dei rifiuti sterilizzati, sebbene esista teoricamente l’assimilazione di questi rifiuti agli urbani, con conseguente possibilità di smaltirli mediante privativa comunale, occorrerà valutare la disponibilità del servizio pubblico al ritiro del materiale, non sempre garantito a causa del sottodimensionamento degli impianti pubblici e dei problemi tecnici che comunque comporta il loro incenerimento. La prescrizione contenuta nell’art. II del D.M. 254/03 relativa all’incenerimento in impianti per rifiuti urbani “alle stesse condizioni economiche adottate per i rifiuti urbani” si scontra infatti con il ridotto numero di tali impianti, attualmente al limite delle loro possibilità, e con l’elevato potere calorifico dei rifiuti sterilizzati, che consente l’incenerimento di una quantità molto inferiore rispetto ai rifiuti urbani, con conseguenti maggiori costi.

Lo smaltimento dei rifiuti sterilizzati mediante terzi potrebbe risultare comunque difficoltoso, a causa del numero relativamente piccolo di impianti in grado di accettare il materiale, e antieconomico soprattutto in caso di piccole produzioni. Di seguito vengono riportati a titolo esemplificativo i costi medi dei diversi sistemi di trattamento dei rifiuti PRI.

Dai dati sopra riportati si evince che non esiste un sistema in assoluto più economico di altri: la convenienza dell’una rispetto all’altra tecnologia dipende soprattutto da condizioni territoriali (esistenza di un impianto nelle vicinanze) e dalle caratteristiche della struttura sanitaria (quantità di rifiuti prodotta, spazi e risorse disponibili per l’installazione di un impianto).

Anche per l’identificazione dei sistemi di smaltimento, così come per le modalità di gestione dei rifiuti, non esiste pertanto un sistema ottimale applicabile indifferentemente a tutte le strutture sanitarie, e la scelta della soluzione più favorevole per la singola struttura potrà essere fatta solo a seguito di un’adeguata analisi delle proprie necessità e delle possibilità esistenti nel territorio circostante.

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