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Le Popolazioni Urbane di Colombo

Tra le molte specie di uccelli che frequentano le città, il colombo ha una posizione ed un interesse particolari. Non si può parlare infatti al pari delle altre, di specie inurbata in quanto non esistono in ambiente rurale popolazioni naturali di provenienza e le sue attuali colonie si sono sviluppate direttamente nelle città, in seguito ad episodi formativi isolati e plurimi a partire da esemplari di varia origine.

Ogni città ha quindi una propria popolazione, generatasi indipendentemente da quelle di altre città e spesso distinguibile anche per particolari caratteri morfologici. Il grado di sinantropia raggiunto dai colombi è molto elevato: essi vivono con l’uomo e dell’uomo sanno sfruttare ambiente e stile di vita in un processo di adattamento molto spinto, realizzato anche sulla base di precipue caratteristiche, ecologiche e comportamentali, che gli sono proprie.

La capacità di sfruttare con successo l’ambiente urbano porta i colombi a formare popolazioni molto dense, che interferiscono in modo vario con l’uomo e le sue attività, finendo spesso per far passare in seconda linea quegli aspetti di positività che il rapporto uomo/animale può rivestire. Conseguenza di tutto ciò è quasi sempre una richiesta di intervento per limitare danni ed interferenze, i cui risvolti economici sono stati solo di recente oggetto di valutazione (Nomisma, 2003).

Le tipologie di intervento sono sia di carattere locale, destinate alla soluzione di problemi puntiformi su singoli immobili od aree limitate, ovvero si configurano come estese operazioni di controllo che investono intere città o paesi. Il presente testo intende presentare le principali notizie biologiche sul colombo di città e fare una disamina delle metodologie di controllo che possono essere messe in atto in ambito urbano e rurale per limitare le interferenze negative legate alla sua presenza.

ORIGINE E POSIZIONE TASSONOMICA

Il Colombo, inteso come specie selvatica originaria (Columba livia L), ha una lunga storia di vicinanza e rapporto con l’uomo. Certamente fu uno dei primi uccelli ad essere domesticati ed essendosi rivelato specie estremamente plastica e sensibile agli incroci operati dall’uomo, dette nel tempo origine a centinaia di razze selezionate per i caratteri morfologici (taglia struttura anatomica, elementi del piumaggio), fisiologici (alta riproduzione), psichici (colombi viaggiatori).

Secondo un’opinione oggi largamente condivisa (Toschi, 1939; Goodwin, 1970; Baldaccini, 1986) postulata all’inizio da Darwin (1859), tutte le razze domestiche note deriverebbero da un unico elemento ancestrale comune, il Colombo selvatico (Columba livia) specie paleartico-orientale ampiamente diffusa nell‘area mediterranea, culla del processo di domesticazione. Secondo certi autori (Whitman, 1919; Ghigi, 1950) alla definizione delle razze domestiche avrebbero dato un apporto non secondario gli incroci indotti con altre specie di colombi, quali il Colombaccio (Columba palumbus), la Colombella (Columba oenas) od ancora le Columba leuconota, rupestris e guinea.

Certamente al di là di quello che può essere stato l’interesse dell’uomo a domesticare il colombo, si deve sottolineare come la messa a coltura dei terreni abbia naturalmente favorito l’avvicinarsi di questa specie agli abitati. Il colombo, animale prevalentemente granivoro, di ambiente steppico e roccioso, si è espanso con l’uomo e le cotture cerealicole, seguendolo negli agglomerati urbani ai quali era ecologicamente preadattato. Le prime costruzioni in pietra, gli anfratti ed i rifugi che offrivano, hanno senza dubbio rappresentato un surrogato dell’habitat di nidificazione naturale.

Il rapporto con l’ambiente urbano si è mantenuto nel tempo ed in certi casi, specialmente nelle regioni medio-orientali, in Spagna ed assai raramente in Italia, è ancora possibile osservare colonie di Colombo selvatico spontaneamente inurbate. Tale abitudine è stata sfruttata un po’ ovunque in Europa, soprattutto nei secoli XVII e XVIII quand’era privilegio nobiliare costruire e mantenere colombaie, fonte preziosa ed inesauribile di giovani piccioni e quindi di cibo per la popolazione.

I colombi selvatici inurbati o di colombaia vennero indicati per le loro abitudini “Colombi torraioli”, termine di fatto sinonimo con “selvatico” (Ghigi, 1950) ancor oggi usato, sebbene in molti casi erroneamente per indicare i colombi di città.

L’origine degli attuali gruppi di colombi, che popolano strade e piazze e che vengono per questo definiti “colombi di città” (o di “piazza”), non è tuttavia da ritenersi conseguente alla tendenza all’inurbamento del colombo selvatico. Se infatti fino al secolo scorso era possibile osservare in città diversi gruppi di colombi selvatici (come ricorda Savi 1827) per Firenze nella sua “Ornitologia toscana”), questi man mano scomparvero, assorbiti da un’altra entità emergente di origine meno nobile ed assai più adattabile all’ambiente urbano: Ghigi (1950), che su questo punto ha lasciato preziose testimonianze, afferma infatti “che senza escludere qualche incrocio casuale con torraioli, antichi abitatori delle torri, dei campanili delle chiese, è presumibile che questi non abbiano avuto influenza apprezzabile nella formazione delle popolazioni di colombi di piazza”. Queste avrebbero avuto origine da razze diverse di colombi domestici fuggiti, persi o abbandonati.

Van der Linden (1950) descrive i fuyards delle torri di Francia, indicando con un termine decisamente esplicito nell’etimologia, colombi di razza già alterata rispetto ai selvatici (bisets) ed originati da incroci casuali con razze di domestici sfuggiti alle loro colombaie.

Ancora Ghigi (1950) testimonia la formazione del nucleo originario della popolazione di Bologna a partire da un gruppo di colombi domestici sfuggiti che, crescendo rapidamente, si insediarono sulla chiesa di San Petronio, soppiantando i torraioli preesistenti.

Un fatto simile sarebbe accaduto a Firenze, quando nel 1887, per inaugurare la facciata del Duomo, venne organizzato un lancio di colombi viaggiatori molti dei quali, contrariamente all’atteso, non si allontanarono dal Duomo e si stabilirono sui fianchi, sulla cupola e sul campanile ; si moltiplicarono, presero l’abitudine di scendere in piazza come a Venezia, senza alcun timore dei passanti. Il loro numero si accrebbe con gli sbandati delle altre colombaie e col sopraggiungere degli scampati dal tiro a volo delle Cascine; non si può escludere che sia avvenuto qualche incrocio coi torraioli selvatici che dimoravano nelle parti più elevate del cupolone, ma quelli sono andati estinguendosi gradualmente per opera dei cacciatori durante le escursioni che essi facevano, a scopo alimentare, nella campagna.

Questo passo del Ghigi (1950) ben sintetizza le molteplici cause che hanno portato allo sviluppo del colombo di città, derivato dunque non dalla moltiplicazione degli ancestrali gruppi di colombi selvatici, ma da successive composite aggiunte di colombi di provenienza varia, per lo più domestica. Questa affermazione è sostenuta da diverse evidenze; una di esse è l’estrema variabilità morfologica che si riscontra nelle popolazioni di colombi urbani, ben superiore a quella che si può avere in una qualsiasi popolazione naturale.

Esiste poi spesso una forte differenza di aspetto in colombi di città diverse. Ciò deve essere evidentemente dovuto al fatto che il colombo di città, a differenza delle specie animali selvatiche, non è un’entità generata dall’espandersi di un gruppo originario, ma le differenti popolazioni provengono da episodi distinti di formazione. I caratteri morfologici così variabili sarebbero allora il riflesso di quelli dei gruppi di partenza, anche se una certa omogeneizzazione è insita nella naturale tendenza alla perdita dei caratteri acquisiti per selezione artificiale a favore di quelli naturali (atavismo).

Nell’ingrossare le popolazioni di colombo urbane, un certo contributo deve provenire anche dallo sviluppo dello sport colombofilo, specialmente con il marcato rientro dei novelli ai primi addestramenti, quando si registrano spesso alte percentuali di perdite. Goodwin (1970) e Simms (1979) hanno ritrovato infatti in città inglesi un 7-8% di individui con anelli alle zampe. Egualmente un certo numero di colombi deve essere arrivato nelle città dai campi di tiro al piccione, almeno fino a quando questa pratica è stata permessa. Per il tiro furono usati in Italia in un primo tempo colombi selvatici, ma con la loro rarefazione si ricorse all’importazione di colombi dalla Spagna (zuritos) e dall’Egitto (foschi, 1939).

Non c’è dunque sovrapposizione tra colombo selvatico e di città; questo discenderebbe dal primo non direttamente, ma solo attraverso razze domestiche come mostrato nella figura I , che sintetizza la derivazione dei domestici dal selvatico, appunto per il processo di domesticazione; successivamente, ed a più riprese, i domestici hanno dato origine a quelli di città.

Il colombo selvatico è una ben definita entità della nostra fauna (Columba livia livia) sottospecie nominale della più vasta entità specifica Columba livia, elemento prezioso degno della protezione da lungo tempo accordatagli. Suo habitat di elezione sono le falesie marine e gli ambienti carsici o comunque rocciosi dell’entroterra. Piccoli, rari gruppi di colombi selvatici vivono inurbati in torri, ruderi, campanili (torraiolo tipico), sempre ben riconoscibili per i caratteri del mantello bigio barrato uniforme, variabile entro i limiti specifici.

Rispetto ai selvatici, i colombi delle città sono da considerare come elementi del tutto staccati, sia tassonomicamente che ecologicamente, e come afferma Toschi (1939) “i colombi dele nostre città, più che forme rinselvatichite di colombi, possono considerarsi uccelli domestici e semidomestici che pur non nidificando in colombaia scendono nelle piazze e nelle vie a raccogliere il becchime che gli innumerevoli amatori di questi animali somministrano loro per puro diletto”. Questa opinione ormai prevalente è stata più volte ribadita e discussa (Baldaccini, 1985; 1988) e porta lo zoologo a non aver dubbi sullo stato di non selvaticità del colombo di piazza, riconducibile tassonomicamente ad una forma domestica di colombo (Columba livia forma domestica). Al pari di tanti animali sfuggiti al loro stato di domesticità, il colombo di piazza è da ritenersi allora “animale randagio” (Ballarini, 1985), con tutte le conseguenze che da questo stato gli derivano.

DESCRIZIONE DEL COLOMBO

Nel colombo di città, come prima accennato, esiste una forte variabilità dei caratteri morfologici dovuta alla sua origine composita e differente da luogo a luogo a seconda delle razze presenti in loco. Nel descriverlo, più che in termini assoluti conviene allora esprimersi in modo comparato rispetto al selvatico, rilevando come la sua taglia corporea sia normalmente più robusta, con forme più tozze e pesanti che in quest’ultimo.

Egualmente il becco è più potente, le cere nasali più sviluppate ed anche il capo è spesso più grande ed allungato, con un profilo che scende meno bruscamente in avanti. Non è raro che i colombi di città vicine differiscano visibilmente tra di loro e gruppi o sotto-popolazioni si possano isolare anche nell’ambito della stessa area.

Tratti morfologici ben differenziati rispetto al selvatico si osservano con facilità in popolazioni di recente formazione, mentre in quelle da tempo stabilite le differenze di taglia, di forma del becco e delle cere sono meno avvertibili per la tendenza dei colombi a riacquisire caratteri ancestrali. Non è raro tuttavia, ad una attenta osservazione degli individui, trovarne alcuni con caratteri chiaramente derivanti da razze domestiche da carne o da voliera.

Misurazioni biometriche condotte su popolazioni selvatiche ed urbane hanno chiaramente mostrato quelle differenze dei caratteri meristici appena accennate. In questa attraverso l’analisi statistica multivariata sono poste a confronto una popolazione di colombi selvatici con tre popolazioni urbane e si può facilmente rilevare la posizione ben differente dei parametri relativi alle misurazioni corporee per le diverse popolazioni; in particolare ben si nota la differenza dimensionale tra selvatico e colombi urbani della città di Bolzano, presi come esempio di una popolazione urbana ben strutturata. Nella figura I sono invece riportate le caratteristiche biometriche relative al maschio ed alla femmina di colombi urbani. Da questa si evince come i caratteri dimensionali siano profondamente sovrapposti, segno di una fondamentale difficoltà nel distinguere esternamente i due sessi; questo fatto è di grande importanza gestionale. (Fig. I ).

Un elemento morfologico ben rilevabile ed estremamente variabile è invece la tonalità e la disposizione dei colori del mantello. Nel colombo selvatico questo è invariabilmente di tipo bigio barrato, ossia grigie lavagna con due barre alari nere e coda pure con banda nera terminale. Al contrario nel colombo di città il mantello è ritrovabile in ogni possibile combinazione sia di colorazione (bigio, munaro o rosso, bianco, nero) che di livrea (barrata, uniforme, scagliola o trigana, zarzana, a mosaico) (vedi al proposito Leiss & Haag, 1999).

Le livree percentualmente più comuni, specialmente nelle regioni europee, sono quella barrata (ossia selvatica, detta anche colombacciata o bigia verghe nere) e la trigana o scagliola. L’alta percentuale di abiti trigani sono senz’altro segno di atavismo; Whitman (1919) considera infatti la livrea scagliola come una delle più antiche se non quella di base per i colombi ed in effetti il pattern di colorazione più comune è proprio il trigano, specialmente in una forma assai scura di colorazione (trigano scuro).

La prevalenza di un abito su di un altro può avere anche delle ragioni comportamentali; i giovani colombi infatti si imprintano sulla livrea dei genitori mostrando poi da adulti una preferenza sessuale significativa per partner con la stessa livrea. Infine nella selezione delle colorazioni, anche fattori ecologici e di predazione hanno un certo peso: ad esempio in piccoli centri rurali sono rare le colorazioni bianche o rosse, maggiormente esposte alla selezione di un ambiente con più predatori.

COMPORTAMENTO – ECOLOGIA

Nel colombo di città si ritrovano elementi comportamentali che non hanno subito alcuna alterazione, accanto ad altri che si sono profondamente modificati rispetto al colombo selvatico. I primi sono relativi a manifestazioni etologiche fondamentali e caratteristiche della specie come gli elementi di comunicazione sociale (corteggiamento, allevamento dei piccoli, difesa); questi mantenendosi inalterati permettono in definitiva quella possibilità totale di incrocio che esiste in tutte le razze di colombo. Altri caratteri si sono invece modificati come risposta al passato stato di domesticità o come successivo adattamento all’ambiente urbano (Fig. 2).

A differenziare le popolazioni urbane rispetto alle selvatiche, concorre ad esempio la periodicità riproduttiva. Nel colombo selvatico la riproduzione avviene solo in estate, mentre nel colombo di città la stagione riproduttiva è estesa a tutto l’anno (Janiga & Kocian, I 985; Johnston & Johnson, 1990). La figura 2 mostra l’andamento della riproduzione in due colonie urbane della lucchesia e ben si vede che a livello di popolazione esistono in ogni stagione coppie in attività riproduttiva.

Una riduzione dell’attività si registra nei mesi tardo estivi (settembre), ma con una ripresa che si protrae per tutto l’autunno-inverno fino ai massimi primaverili. La tavola I mostra i dati numerici relativi alle covate registrate nei due siti predetti; il numero massimo di covate per anno, per coppia è di sette, con una mediana relativa ai 44 nidi osservati, pari a tre. (Tav. 1 e 2).

La dilatazione del periodo riproduttivo può essere interpretata diversamente: una spiegazione viene dalla considerazione che i colombi domestici sono spesso selezionati per l’alta produttività; la stagione riproduttiva estesa sarebbe allora un segno del passato stato di domesticità. D’altro canto l’incremento del numero di covate e l’allungamento del periodo riproduttivo potrebbe essere una precisa risposta adattativa ad un ambiente particolarmente favorevole come quello urbano, con cibo ugualmente disponibile durante l’anno e microclima con temperature più elevate che in ambito rurale.

L’illuminazione pubblica potrebbe poi rendere più flessibili le risposte comportamentali legate al fotoperiodo, ed è ben noto che la riproduzione è tra queste. L’influenza della disponibilità del cibo, appare assai importante, dal momento che anche piccioni selvatici tenuti in cattività, tendono a dilatare il numero di covate.

 

Il successo riproduttivo del colombo urbano dipende da fattori diversi; tra quelli più importanti nel frenarlo vanno annoverati la nidificazione in luoghi non adatti, la densità di popolazione e due parametri direttamente dipendenti da quest’ultima: la quantità di ecto ed endo parassiti presenti e la più facile trasmissibilità di malattie virali (es. difterovaiolo) che aumenta in caso di sovrappopolazione.

In generale, pur essendo il colombo specie fortemente gregaria, condizioni di stress da sovraffollamento inducono un tasso riproduttivo molto basso rispetto al numero di covate annue; fatto facilmente rilevabile osservando il numero di uova deposte ed il tasso di sopravvivenza nei centri delle città, rispetto alla periferia, dove le densità sono sempre minori (11 contro 8.4 uova deposte/coppia/anno; 5.1 contro 2.5 giovani involati/coppia/anno; dati combinati per Bratislava e Basilea (Janiga & Kocian, 1985; Haag, 1993). La tavola 2 mostra i dati di successo riproduttivo relativi alle colonie lucchesi anzidette; il rapporto tra uova deposte e schiuse risulta assai sfavorevole e mette in evidenza una particolare criticità di questo passaggio riproduttivo.

Migliore è invece il rapporto tra schiusi ed involati. Fattori di infertilità naturale, di predazione al nido, di incuria, debbono verosimilmente giocare un ruolo rilevante in questo contesto determinando un freno notevole alla produttività in piccoli delle singole coppie.

Riguardo ai siti di nidificazione, esiste inoltre una forte disproporzione tra le dimensioni della popolazione ed il numero di luoghi adatti alla deposizione. Ciò ingenera una notevole competizione per quelli migliori, spingendo percentuali elevate di coppie a sfruttare siti inadatti con facile perdita delle covate (Haag, 1987).

Se le preferenze alimentari del colombo selvatico o dei randagi in ambiente naturale sono ben precise (Murton &Westwood, 1966), il colombo urbano è del tutto opportunista e decisamente onnivoro, anche se esistono preferenze individuali ben nette, che forse hanno il significato di diminuire la competizione intraspecifica (Giraldeau & Lefebvre, 1984).

In ambiti strettamente urbani la dipendenza del colombo dai cittadini può essere totale e sono note popolazioni, come quella di Bolzano, con range d’attività che non supera il centro cittadino. In questi casi l’esame dell’ingluvie rivela una media superiore all’80 % di cibo di provenienza umana, con modeste quantità di vegetali o semi di erbe spontanee.

Tuttavia spesso c’è l’abitudine di cibarsi fuori dell’ambito cittadino, con regolari spostamenti fuori di esso (Baldaccini & Ragionieri, 1993; Baldaccini 1993). Questo comportamento è del tutto simile a quello ritrovabile nel colombo selvatico (Baldaccini et al. 2000) ed indica come anche gli spostamenti dei colombi urbani siano, per quanto riguarda l’estensione, determinati dalla dislocazione delle fonti di cibo, specialmente in quelle aree dove le colture cerealicole abbondano, attirandoli fuori città. Questo comportamento di involo verso le campagne è stato riscontrato in città quali: Milano, Cremona, Piacenza, Parma, Pisa, Reggio Emilia, Forlì, Faenza,Venezia, Lucca, tanto per citare le principali. Le uscite, e i conseguenti rientri, hanno un carattere molto regolare, sebbene variazioni stagionali possano essere rilevanti.

Oltre a questi macroscopici movimenti verso l’esterno, esistono tutta una serie di spostamenti interni che portano i colombi a muoversi con una regolarità spesso estrema tra siti di nidificazione o di riposo notturno e luoghi di foraggiamento, abbeverata o di riposo diurno. Di conseguenza lo stesso colombo può ritrovarsi ad orari differenti in diversi luoghi della città ed il suo grado di vagilità non può essere predetto se non sulla base di specifiche osservazioni.

L’attività alimentare determina, tra le altre, una specifica bimodalità di comparsa dei colombi ad un determinato sito; in questo fenomeno gioca un ruolo preciso la dimensione dell’ingluvie che obbliga il colombo a due picchi giornalieri di alimentazione. I gruppi di foraggiamento sono aperti, con individui che continuamente si uniscono e/o lasciano un gruppo.

Osservazioni ad un sito rivelano l’esistenza di due tipi di individui: visitatori regolari ed occasionali in un rapporto di 2:1, con un turnover costante all’interno dei gruppi in ragione di 0.2 individui / giorno (Lefebvre, 1992). Un fatto interessante è che le dimensioni dei gruppi rispecchiano molto da vicino la quantità di cibo disponibile; un meccanismo, attraverso cui ciò è reso possibile, è il progressivo shift nel seguire o abbandonare gli altri nel momento in cui il numero di individui che arriva ad un sito di foraggiamento aumenta e di conseguenza la risorsa disponibile diminuisce. Ai siti di alimentazione la competizione può essere elevata, con animali che difendono dagli altri una risorsa. Anche i membri di una coppia possono cooperare, con il maschio che percentualmente difende più della femmina.

Una fonte importante di alimentazione è data anche dal verde urbano; siepi con frutti eduli come il viburno, possono rappresentare una consistente risorsa che andrebbe attentamente valutata per non aumentare le risorse trofiche disponibili. Per quanto riguarda i rapporti con le altre specie ritrovabili in città, uomo compreso, si possono fare le seguenti considerazioni.

L’uomo interferisce in varia misura agendo tuttavia anche da “predatore” diretto in quanto è senz’altro molto alto il numero di individui giornalmente vittima di autoveicoli. Sotto questo punto di vista l’uomo è forse il predatore più efficiente del colombo di città. Episodi di predazione vera sono documentati ma nessuna ricerca ha finora quantizzato il fenomeno è di conseguenza sconosciuta l’incidenza dell’attività dei diversi predatori sulle popolazioni di colombo e soprattutto se il prelievo operato è in qualche modo in grado di influenzare l’andamento delle popolazioni stesse.

Sono documentati predatori dei colombi in particolare il ratto, che agisce su uova e nidiacei, una serie di uccelli da preda (falco pellegrino) e diversi Corvidi che frequentano l’ambiente urbano (taccola, cornacchia); attacchi diretti sono riportati anche da parte del corvo.

Competizioni e sinergie si possono variamente evidenziare con diverse specie. E’ stato detto che il colombo sottraendo all’ambiente urbano un’alta quantità di cibo sotto forma di avanzi o rifiuti, sarebbe in competizione con ratti e topi sottraendo loro una quantità non indifferente di risorse. Anche in questo caso non esistono dati neppure indicativi in merito, anche se le nicchie ecologiche complessive delle specie in questione sembrano scarsamente sovrapposte.

Competizione diretta esiste invece con altri granivori presenti in città come il passero; ambedue insistono sul medesimo supporto alimentare e la rapidità d’azione del passero può in molti casi risultare vincente. Sinergie più che competizione sono da evidenziare invece con i gabbiani; osservazioni dirette in città rivierasche hanno costatato come Gabbiani reali possano con la forza dei loro becchi , aprire i sacchetti dei rifiuti spargendoli poi all’intorno e rendendo così disponibili per i colombi risorse alimentari.

Il colombo come specie è senz’altro da considerarsi preadattata all’ambiente urbano, sia biologicamente che in forza di un antico legame con l’uomo che è quindi pronto ad accettarlo presso di sé. Oltre a ciò la città è in grado di offrire al colombo un surrogato del suo habitat naturale. Le costruzioni con i loro anfratti sono un rifugio estremamente allettante per il colombo che vi trova infinite possibilità di nidificazione. La città offre poi condizioni climatiche favorevoli, con microclimi dalla temperatura più elevata che in zone rurali, e naturalmente grandi disponibilità di cibo, integrate quasi sempre da continue distribuzioni di granaglie o pane da parte di cittadini. Da questa condizione i colombi hanno saputo trarre, con un perfetto adattamento, ogni possibile vantaggio, tanto da travalicare a volte certe abitudini specifiche.

Ad esempio nelle città i colombi riescono spesso a nidificare con successo sugli alberi (Simms, 1979; Baldaccini, 1988). Nelle città i colombi costruiscono i loro nidi in ogni anfratto sufficientemente riparato e scarsamente accessibile. I luoghi di maggior aggregazione sono gli edifici monumentali o vetusti; alti numeri si addensano negli edifici in cattivo stato di manutenzione o abbandonati. In questi luoghi i colombi costituiscono vere e proprie colonie, moltiplicandosi e costruendo nido su nido con penne, sterco e materiali raccogliticci (erbe, fuscelli ma anche plastica e tessuto).

I fattori che hanno determinato l’attuale situazione di ipersviluppo dei colombi nelle città, non sono nel complesso differenti da quelli che regolano ogni popolazione naturale. In particolare la disponibilità di cibo e di rifugi per la nidificazione ed il riposo sono con certezza i fattori ecologici determinanti. Di conseguenza ogni azione che determini una modifica di tali fattori chiave ha un parallelo riscontro sulla popolazione di colombi. Così la limitazione della quantità di cibo può determinare una contrazione significativa dei colombi residenti, come dimostrato da Haag (1993) e lo stesso avviene allorché si producano estese bonifiche di luoghi di nidificazione.

Il cibo scarso ha subitanei effetti di affamamento su adulti e soprattutto giovani, meno abili e quindi perdenti in caso di competizione per l’alimento; il maggior tempo speso per foraggiare determina a sua volta incuria verso i piccoli e le uova, che vanno incontro ad una maggiore mortalità.

Condizioni di cibo abbondante producono invece una spinta demografica che si traduce in una forte competizione per i siti di nidificazione realmente adatti al buon fine delle covate.

Uno stato di simile competizione porta da una parte all’occupazione di luoghi di nidificazione non adatti, dall’altra ad uno stato di stress sociale, conseguente al sovraffollamento. Tutto ciò determina maggiore permeabilità dei singoli individui a parassiti ed agenti infettivi vari, ed ancora incuria delle uova e piccoli.

Il minor successo riproduttivo che hanno i colombi nelle condizioni di sovraffollamento dei centri cittadini è testimone delle situazioni di disagio e stress sociali in cui vivono normalmente. La grande diffusibilità di agenti infettivi, quali il difterovaiolo, sono l’esempio e la conseguenza di quanto illustrato; tali virosi costituiscono nondimeno forti fattori che limitano l’espandersi delle popolazioni e sono da annoverare tra i principali elementi di controllo naturale delle popolazioni stesse.

Dalle precedenti considerazioni appare dunque chiaro che la disponibilità di cibo e di rifugi adatti sono i fattori ecologici principali di regolazione dello sviluppo dei colombi in città e che ogni azione di controllo deve tener conto di essi, pena un effetto nullo o del tutto passeggero sulla popolazione stessa.

INTERAZIONI CON LA VITA CITTADINA

Un alto numero di colombi ha conseguenze dirette sia sugli immobili ed i cittadini che sulla popolazione di colombi stessi.

In questi si induce infatti uno stato di stress da sovrappopolazione estremamente nocivo per gli animali, come illustrato al paragrafo precedente. Di conseguenza ogni azione che porti all’aumento dei colombi (o al non intervento) è da considerare come una crudeltà verso i colombi stessi.

Questo concetto, maturato anche dalle ricerche di Daniel Haag nella città di Basilea, sta divenendo estremamente importante nella lotta alla sovrappopolazione di colombi. La sovrappopolazione è infatti vista nei suoi aspetti deleteri verso gli animali stessi che per la esplosione demografica che li interessa sono costretti a vivere in situazioni del tutto lontane da quelle che normalmente sono determinate in natura da una più equilibrata influenza dei fattori ecologici limitanti.

Dar cibo agli animali o facilitarne la riproduzione, viene sempre di più visto non come zoofilia ma come una azione che, nelle attuali condizioni delle città, è contraria alle esigenze dei colombi. La forte mortalità a carico delle classi d’età più basse ed in particolare dei giovani colombi appena involati è una conferma diretta di quanto espresso.

Sulla vita urbana, sulle attività che in esse si svolgono, i colombi interferiscono in modi differenti.

IGIENE URBANA

L’accumulo di guano, penne, individui morti nei posatoi notturni e diurni, nei nidi; per il lordamento di strade, facciate, delle acque di fontane. Nel guano si sviluppano con facilità miceti patogeni anche per l’uomo (Ballarini et al., 1989) ed ugualmente con esso vengono emessi uova e larve di parassiti nonchè lieviti potenzialmente patogeni (Candida, Cryptococcus, Gallo et al., 1990; Haag-Wackernagel & Moch 2003).

ATTENZIONE ALLA SALUTE PUBBLICA

Il quadro è complesso e certamente non ben noto; molto spesso i colombi, oltre all’emissione con le feci dei blastomiceti anzidetti, risultano positivi a test per Salmonellosi, Clamydiosi,Toxoplasmosi, Rickettiosi. Infezioni da Clamydia sono presenti con maggior incidenza e raggiungono percentuali di oltre il 50% nelle popolazioni esaminate (Cerri et al., 1989), con massimi invernali quando i colombi sostano più a lungo insieme nei posatoi notturni (la trasmissione avviene per inalazione di feci essiccate o direttamente da genitori a figli); tassi ben minori si registrano per gli altri patogeni, ad evoluzione soprattutto estiva. Nell’Italia del nord le percentuali di colombi positivi per la Salmonella sono raramente superiori al 5%, mentre tassi inferiori al 2% si registrano per Toxoplasma e Ricketsia (Baldaccini, 1991).

Infestazioni talora massive sono note invece per parassiti quali Ascaridi (Ascaris, Capillaria) e tenie che vivono in gran numero nell’intestino dei colombi. Ad alta incidenza estiva o tardo-estiva è pure il virus del vaiolo del piccione (Poxvirus columboe), che nulla ha a che vedere con le forme vaiolose dei mammiferi e dell’uomo, ma che risulta trasmissibile con relativa facilità ad altre specie di uccelli, eccettuato il canarino. Gli esiti letali per il colombo sono frequentissimi e tale virus è forse uno dei principali fattori di contenimento naturale della popolazione, soprattutto in condizioni di sovraffollamento. Esiti di questo virus sono le frequenti mutilazioni alle dita delle zampe dei soggetti sopravvissuti.

Le reali possibilità di trasmissione di Salmonella tra uomo e colombo sono oggetto di discussione (Andreani, 1984), ma i maggiori rischi sembrano provenire dalla Clamydia, per cui è provata una trasmissibilità diretta (Schatcher,1989). L’alto numero di colombi che da ogni città si dirige verso le campagne, dove entra in contatto con animali selvatici e domestici, è certamente elemento di trasmissione e mantenimento di alte percentuali di individui positivi per i patogeni suddetti, nelle popolazioni animali rurali.

L’attenzione si va inoltre focalizzando sempre di più sulla zecca Argas reflexus, usuale ectoparassita del colombo con adulti e larve.

ALTERAZIONI LAPIDEE

Il guano attacca vistosamente con la sua componente acida soprattutto le pietre sedimentarie determinandone la corrosione, accelerata anche dai prodotti metabolici dei miceti che vi si sviluppano, abbassandone ulteriormente il ph (Bassi & Chiatante, 1976).

INQUINAMENTO E SOTTRAZIONE DI DERRATE ALIMENTARI

Il fatto assume importanza nel caso dell’esistenza di mercati e di granaglie e derrate dove i colombi possono penetrare. Non sottovalutabile è anche l’inquinamento prodotto direttamente con feci polverizzate, su derrate esposte (Baldaccini, 1993).

La sottrazione di derrate (sementi, raccolti, danneggiamento alle plantule di mais, grano e altri cereali) è un problema che nel caso della Padania assume dimensioni particolari per l’alto numero di colombi che giornalmente si reca a “pascolare” nelle campagne. Un calcolo di quanto i colombi riescano a sottrarre ai raccolti non è possibile attualmente, vista la mancanza di studi specifici. Osservazioni personali di attacchi di gruppi di 300-400 colombi a campi di girasole ripetuti per più giorni, determinano perdite dell’ 8-10 % del raccolto; mentre danni assai minori si hanno ai raccolti di mais e cereali. L’incidenza è invece rilevante sulle sementi, tanto che è ormai in uso, in terreni sottoposti alla visita di colombi, di aumentare la quantità di semente fino al 40 % in più per i cereali.

Esiste quindi un reale “costo” della presenza dei colombi in città e a costituirlo concorrono elementi sia diretti che indiretti, come ben evidenziato nel rapporto Nomisma (2003).

Riassumendo, le voci più significative della interazione colombi /città sono rappresentate da:

  • maggiori costi di pulizia delle strade e di manutenzione degli immobili, ivi compresa la posa in opera di repellenti e dissuasori specifici;
  • danni irreversibili ai monumenti e fabbricati storici;
  • sottrazioni di derrate;
  • danneggiamento di raccolti
  • rischio sanitario per uccelli selvatici;
  • rischio sanitario per gli uccelli domestici e l’uomo.

Coloro che intendono intervenire in modo diretto sulle popolazioni di colombo urbano non sono aiutati da un quadro normativo specifico che contempli e regoli le relative azioni di controllo.

Storicamente il problema trae la sua origine dalla mancanza di uno status certo in termini legislativi del colombo; se cioè esso è da considerare specie selvatica — e come tale protetta a norma della attuale legge 157/92 — ovvero domestica o randagia.

SELVAGGIO O DOMESTICO

Da un punto di vista scientifico non sussistono dubbi sul fatto che il colombo di città sia da considerare come randagio. L’origine delle popolazioni cittadine è infatti da ricercare in individui domestici sfuggiti al loro stato e riconvertiti ad una naturale libertà.

Accettando questa posizione, oggi largamente riconosciuta in giurisprudenza, sul colombo possono essere esercitate azioni di sfruttamento, comprese la cattura e l’uccisione, purché con modalità tali da non integrare il reato di maltrattamento previsto e punito dal Codice Penale e dalle altre leggi sul benessere animale.

 

Per i fondi rustici, si ricorda inoltre che a proposito della uccisione o danneggiamento di animali altrui, e quindi di specie dichiaratamente domestiche in quanto proprietà di alcuno, l’art. 638 del Codice Penale dichiara al suo terzo comma la non punibilità di chi abbatte volatili sorpresi sul proprio fondo e tali da arrecare un qualsiasi danno.

Secondo questo articolo appare chiaramente non punibile chi uccida colombi sorpresi a danneggiare le proprie coltivazioni fatte ovviamente salve, in questo caso, le norme che regolano il porto di armi da fuoco nel caso che l’uccisione avvenga tramite di esse.

LA RESPONSABILITA’ DEI DANNI

In termini di responsabilità dei danni arrecati dai colombi, essendo residenti stabilmente nelle città, essi possono essere considerati di proprietà del Sindaco del paese che ospita le loro colonie; questi può dunque essere chiamato al risarcimento dei danni.

Questa interpretazione, che potrebbe essere estesa addirittura ai singoli proprietari di immobili su cui colonie di colombi stazionino e si riproducano principalmente per l’incuria dei proprietari stessi, appare tuttavia più consona ad una aperta dichiarazione di domesticità del colombo. Ciò contrasta però con le riconosciute definizioni di stato domestico, per cui è domestico l’animale del quale l’uomo controlla completamente la riproduzione ed il mantenimento, fatti che ovviamente non sussistono per il colombo di città.

Per quanto riguarda il punto di vista opposto, ossia un suo status selvatico, una sua classificazione in questi termini non può che prescindere dall’aspetto scientifico e può essere fatta solo sulla base della attuale scarsità di norme che causano una fondamentale indeterminatezza al proposito.

La selvaticità del colombo era stata affermata in passate sentenze (Pretura di Torino), ingenerando un forte stato di tensione nelle Amministrazioni e la conseguente non operatività nei confronti dei danni sempre maggiori che il colombo determinava a città e campagne. Contro questa situazione è insorto da un lato il mondo scientifico ma hanno preso posizione anche organi ufficiali quali l’Istituto Nazionale Fauna Selvatica, dichiarando esplicitamente la non appartenenza alla fauna dei colombi di città. In conseguenza di ciò è dunque possibile intervenire con azioni di controllo diretto (catture, abbattimenti) sul colombo laddove se ne ravvisi la necessità.

Tali azioni partono sempre da Pubbliche Amministrazioni che debbono coordinarsi obbligatoriamente con i servizi veterinari delle ASL locali per il controllo della congruità delle varie fasi operative con le correnti normative.

In ambito agricolo per la difesa delle coltivazioni attaccate da gruppi di colombi in pastura nelle campagne, si è fatto spesso ricorso con successo al dettato dell’art. 19 della legge 157/92; questo sancisce che per la tutela delle produzioni zoo-agroforestali ed ittiche nonché per la tutela del patrimonio storico-artistico e quella igienico-sanitaria è possibile provvedere al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia.

Il detto art. 19 indica solo che i metodi di controllo debbano essere selettivi ed ecologici, ma se questi ultimi metodi risultano inefficaci è facoltà delle regioni di autorizzare piani di abbattimento. Questi ultimi sono stati autorizzati in quei casi in cui piani di intervento nelle città non avevano risolto il problema dei danni alle coltivazioni. Gli abbattimenti possono essere effettuati da guardie venatorie provinciali ed altre figure, specificatamente autorizzate, oltre che dai proprietari o conduttori dei fondi, se dotati di porto di fucile.

METODOLOGIE DI CENSIMENTO

La necessità di censimenti è assoluta, scriveva G. Ballarini (1984). Con tale affermazione senz’altro si riferiva alla funzione fondamentale di tale pratica, che è quella di quantizzare, di dare oggettività ad una popolazione di colombi, così come di qualsiasi altra specie, allorché ci si accinga a prendere una decisione sulla opportunità o meno di operazioni di controllo sulla medesima è pur vero che una decisione ad intervenire può dipendere da altri fattori e che “tanti animali non sono necessariamente troppi” (Lovari, in verbis), ma un dato numerico di partenza rimane di assoluta necessità. Questo in particolare per operazioni future di monitoraggio sugli effetti delle azioni di controllo messe in campo, per dare quindi un metro di giudizio oggettivo sulla loro opportunità ed efficacia è fuor di dubbio che una oggettivazione di questo genere è largamente mancante e non sempre i riscontri di efficacia sono obiettivi.

Ciò è vero non solo nella realtà italiana, se Hone (1994) riporta l’impossibilità di derivare conclusioni sugli effetti di operazioni di controllo nel colombo … “because of biased methods of estimating population size o f the pigeons”. Un censimento è il mezzo per avvicinarsi il più possibile alle reali dimensioni della popolazione in studio.

Deve di conseguenza possedere requisiti di accuratezza di rappresentazione numerica della popolazione reale, ma deve essere soprattutto “preciso”. Deve cioè avere caratteristiche di ripetibilità tali da generare nelle successive applicazioni una contenuta variabilità statistica. La letteratura in campo ornitologico sui censimenti è vastissima; molto meno quella relativa alla loro applicazione in ambiente urbano (vedi Senar, 1996).

Qui di seguito si tenta di dare una panoramica generale delle metodologie ed alcuni spunti applicativi. In accordo con quanto suggerito da Bibby et al. (1992) e successivamente da Senar (1996), si possono dividere i metodi di censimento degli uccelli in due grandi categorie, a seconda che gli stessi siano valutati attraverso la cattura o la semplice osservazione.

Appartengono alla prima categoria le seguenti metodologie:

  • Cattura e ricattura;
  • Cattura per unità di sforzo;
  • Cattura e rimozione.

Queste metodologie hanno alle spalle una vasta letteratura ed un robusto background statistico (si veda Bibby et al. 1992, Thompson et al. 1998) e sono di conseguenza da considerare metodi di profonda validità per quel che riguarda i risultati a cui possono portare.

Un loro utilizzo nel contesto urbano risulta tuttavia non semplice (Senar 1996), specialmente in una prospettiva di applicazione pratica della metodologia, quale è quella cui si vuole tendere in questa sede. Si tratta infatti di metodi in cui è necessario catturare frazioni significative degli uccelli da censire, con grosse problematiche organizzative ed economiche.

Quello per “cattura e rimozione” prevede tra l’altro l’eliminazione dei soggetti , con la messa in opera di percorsi non sempre facili da portare a termine. Si preferisce di conseguenza rivolgersi verso metodologie di osservazione diretta, che comprendono fondamentalmente 5 tipologie:

  • Conteggio per quadrati;
  • Indici di presenza;
  • Metodo del mappaggio;
  • Transetti lineari;
  • Conteggio per punti.

Il metodo dei quadrati è forse quello che ha ricevuto la maggiore attenzione, essendo stato applicato da Uribe et al. (1984) a Barcellona, da Baldaccini e Mongini (1985) a La Spezia e successivamente a Bolzano (Baldaccini e Mongini 1991 ). In estrema sintesi (ma vedi Baldaccini in Ballarini et al. 1999) il metodo consiste nel tracciare su di una carta di scala conveniente della città in oggetto un reticolo a maglia quadrata, con una opportuna scelta del lato. Si contano poi gli animali presenti in una certa percentuale di quadrati, moltiplicando successivamente il valore di densità media ottenuto per il numero totale dei quadrati individuati.

La scelta dei quadrati può essere compiuta in maniera completamente casuale, oppure attraverso una stratificazione degli stessi all’interno di aree urbane dalla tipologia sufficientemente omogenea; quest’ultima procedura sembra di fatto garantire un consistente aumento di precisione (Senar e Sol 1991 ).

Problemi precipui nell’applicazione di questa metodologia provengono da fattori intrinseci di dimensionamento dei quadrati relativamente allo sviluppo della struttura urbana ed al numero di quadrati da visitare per ottenere una stima quanto più possiile accurata (Uribe et al 1984, Senar 1996).

Gli indici di abbondanza ed il metodo del mappaggio hanno ricevuto una scarsissima attenzione, in quanto il metodo del mappaggio si adatta solo a specie territoriali e/o canore, mentre gli indici di abbondanza, basandosi sulla ricerca ed il conteggio dei segni di presenza, come i nidi o le superfici imbrattate da sterco, hanno un valore largamente relativo, data la difficoltà, ad esempio, di censire in città i nidi, vista la complessità e vastità delle strutture urbane.

Il conteggio per punti ed il metodo dei transetti lineari rappresentano sostanzialmente due aspetti della medesima metodologia generale, dato che il primo tipo di conteggio può di fatto essere letto come un transetto lineare di lunghezza zero (Buckland et al. 1993,Thompson et al. 1998). Questa metodica si è rivelata un interessante strumento di monitoraggio e di studio delle comunità ornitiche (si veda Bibby et al. 1992). Essa è inoltre già stata utilizzata per valutare le popolazioni urbane di uccelli sinantropi (Barbieri e De Andreis 1991, Frappoli 1988 in Baldaccini 1991, Jokimàki e Suhonen 1998), con risultati talora soddisfacenti. Pur mostrando alcuni rilevanti problemi di standardizzazione legati alla notevole eterogeneità del tessuto urbano di diverse città, il suo impiego come indice di abbondanza, relativamente semplice e rapido, la rende particolarmente praticabile anche da parte di non specialisti.

Ovviamente un suo utilizzo routinario presuppone una valutazione quantitativa dei risultati in relazione a metodologie più classiche, quale il metodo di conteggio per quadrati.

IL PROBLEMA DELL’AVVISTABILITA’

Indipendentemente dal metodo di censimento, un fattore da prendere in considerazione riguarda il grado di visibilità degli uccelli. Nel caso del colombo, questo dipende dal ritmo di attività giornaliera, nonché da quello annuale, in connessione con la nidificazione. Esiste inoltre il fattore, non meno importante, della fluttuazione annuale della densità di popolazione in seguito sia all’attività riproduttiva, che tende a farla aumentare, sia alla presenza di fattori limitanti, quali quelli climatici, che tendono a ridurla, specie nei periodi più freddi.

Si pongono quindi come problemi da valutare quelli relativi alla presenza degli uccelli in un dato punto nelle diverse ore del giorno e parallelamente nei diversi mesi dell’anno, in modo da determinare il periodo del giorno e dell’anno più adatto per l’esecuzione dei censimenti. Infine debbono essere determinati gli eventuali correttivi da apportare al numero di esemplari avvistati per poterlo trasformare in una reale stima di presenza.

Questi fattori di correzione rappresentano un punto cruciale nel passaggio dal numero di individui realmente contattati durante una qualsivoglia operazione di conteggio e la successiva stima delle effettive presenze, come ci insegna la letteratura specifica (Barbieri e De Andreis 1991 , Senar e Sol 1991). La visibilità degli uccelli entro la città dipende anche dalla struttura e dalla complessità del tessuto urbano. E’ facilmente intuibile che in una struttura urbana ampia e lineare esista un alto coefficiente di avvistabilità degli animali, cosa che non accade nei nostri centri storici, caratterizzati da vie anguste ed edifici di notevole altezza. Si pone quindi il problema di realizzare per le varie tipologie urbane degli indici di avvistabilità, da usare come fattori moltiplicativi di quanto effettivamente censito. A tal fine la metodologia di cattura e ricattura (o semplice riavvistamento) di individui marcati è, per molti aspetti, risolutiva e potrà essere applicata con profitto per stabilire un indice di visibilità appropriato alla struttura urbana in studio.

La letteratura fornisce tuttavia una serie di valori, sperimentati per varie realtà (Senar e Sol 1991 , Barbieri e De Andreis 1999 I), che possono essere utilmente applicati. Non è infatti pensabile la costruzione di indici specifici se non in casi particolari o precipui motivi di studio, viste le difficoltà che comportano. Un indice minimale di conversione è individuato da Senar e Sol (1991) in 3,6 per Barcellona, città dalle vie ampie e largamente moderna. Nei nostri centri storici, un fattore 4 viene proposto da Barbieri e De Andreis (1991) che hanno operato a Pavia con l’applicazione del metodo di “cattura e riavvistamento” di colombi inanellati. Si deve ricordare che più un centro storico è “chiuso”, con case alte, vie strette e spazi inaccessibili (corti, giardini interni) tanto più l’indice deve essere aumentato.

CENSIMENTO PER QUADRATI

Oltre a quanto prima accennato, si rimanda per un approfondimento ad Uribe et al. 1984 e a Baldaccini in Ballarini et al. 1989. Un’attualizzazione operativa di questo metodo deve necessariamente passare attraverso un’analisi dell’influenza delle diverse variabili sui risultati ottenibili e quindi sulla quantità reale di animali contattabili in ciascun evento. Le variabili individuate sono:
a. Dimensioni dei quadrati.
b. Periodo del giorno.
c. Numero dei quadrati.
d. Variabilità lungo l’arco dell’anno.

DIMENSIONI DEI QUADRATI

Il disegno dei quadrati rimane un momento cruciale dell’operazione, in quanto è dalle loro dimensioni che dipendono in larga misura i caratteri di precisione del metodo.

La valutazione dell’influenza di questa prima variabile può essere affrontata attraverso conteggi effettuati su maglie di lato differente. Sulla base dei pochi esempi riportati in letteratura (Uribe et al. 1984, Baldaccini e Mongini 1985, Senar 1996), ci si può orientare su quadrati di maglia compresa tra i 150 m ed i 300 m., parallelamente alle dimensioni della città in studio. Molti dei censimenti effettuati su città intorno ai 100.000 abitanti partivano da maglie di 200 m. di lato; tale misura pare quella più opportuna in tali condizioni operative.

La dimensione della maglia deve essere, per opportunità statistica, sempre la stessa anche quando si opti per una stratificazione in aree differenti della città (centro-periferia).

PERIODO DEL GIORNO

L’attività dei colombi dipende dalle ore di luce disponibili, come dimostra l’andamento temporale dei voli che questi animali compiono per andare a foraggiare nella cornice agricola degli agglomerati urbani (Baldaccini e Ragionieri 1993). Normalmente si rileva un tipo di attività fondamentalmente bimodale, con due picchi evidenti, uno mattutino ed un secondo che cade nelle prime ore del pomeriggio.

Questo pattern trova conferma nei dati raccolti sul tipo di frequentazione di alcuni siti di foraggiamento collocati all’interno della città di Montrèal (Lefebvre e Giraldeau 1984) e per questo sembra plausibile una sua generalizzazione. Chiaramente l’attività degli animali ha dei profondi effetti sulla loro avvistabilità, per cui sembra necessario valutarne in maniera quantitativa l’influenza, onde individuare il periodo del giorno più opportuno in cui compiere le operazioni di censimento. Si sono individuate tre differenti fasce della giornata (rispettivamente, da 1 a 3 h dopo l’alba, da 5 a 7 h dopo l’alba e da 4 a 1 h prima del tramonto) come più adatte per i conteggi, sulla base dei ritmi di attività dei colombi. La seconda fascia è quella che da le avvistabilità più elevate.

NUMERO DEI QUADRATI

Nel primo lavoro che affrontava questo problema metodologico (Uribe et al. 1984) si utilizzavano rispettivamente il 7% ed il 20% dei quadrati totali individuati, notando una significativa differenza di precisione nella stima della popolazione in favore del secondo valore.

Lavori successivi (Senar e Sol 1991 , Senar 1996) concludono che la copertura del 25 – 30% della superficie possa essere considerata quella più raccomandabile, badando di non scendere al di sotto del 10% pena la non validità delle stime così ottenute. Su questa base e nel caso di estensione relativamente limitata dell’agglomerato urbano in studio (minore 50.000 abitanti), si può partire da presupposti differenti, con la realizzazione di una copertura del 100% della superficie (conteggio a massima copertura). I vantaggi di una tale metodica sono relativi ad una sua maggiore precisione e rappresentatività, senza ricorrere alla mediazione da subcampioni.

VARIABILITA’ LUNGO L’ARCO DELL’ANNO

Le variazioni quantitative di livello annuale delle popolazioni di colombi risultano non studiate in letteratura. Le nostre informazioni al proposito sono generiche e solo recentemente si sono ottenuti dati in proposito a seguito di indagini preliminari compiute dallo scrivente. Risulta ugualmente carente il quadro relativo all’andamento della riproduzione nel colombo, noto solo per alcuni specifici casi all’estero (si veda Johnston e Janiga 1995 per le referenze e più recentemente studiato anche per Lucca).

Si renderebbe dunque necessario seguire l’andamento della nidificazione in un numero significativo di nidi con diversa dislocazione spaziale, così da ottenere un quadro dell’evoluzione annuale, capace di fornire informazioni sui periodi dove si concentra preferibilmente l’attività di cova e di allevamento dei piccoli, che influenza in maniera tangibile la visibilità relativa degli individui.

Per quanto oggi ipotizzabile, si possono individuare diversi periodi nel’arco dell’anno in cui esistono condizioni di avvistabilità e dimensioni reali della popolazione del tutto differenti: stasi invernale, nidificazione primaverile e nidificazione tardo estiva. Durante la stasi invernale (dicembre – febbraio, ma attenzione alle fluttuazioni climatiche!) si hanno momenti di avvistabilità minimali e la popolazione si trova nei momenti di massima contrazione numerica.

La situazione è opposta nella ripresa riproduttiva tardo estiva (settembre-ottobre) con l’esplosione demografica ai massimi annuali ed una grande avvistabilità dei soggetti. Le condizioni sono meno predicibili e sfumate nel rimanente periodo.

Come si vede la biologia riproduttiva del colombo, ma soprattutto i ritmi di attività giornalieri, influenzano grandemente la sua avvistabilità in ambiente urbano.

Nella applicazione del metodo dei quadrati si deve dunque tenere conto delle diverse variabili individuate, una forte fluttuazione dei risultati da momento a momento. Inoltre, in conseguenza della variazione annuale delle dimensioni della popolazione, è necessario da una parte condurre repliche del metodo a distanza ravvicinata (10 – 20 giorni al massimo) per ottenere quantità mediabili capaci di incrementare la accuratezza, dall’altra eseguire conteggi lungo l’arco dell’anno per monitorare le variazioni..

IL CONTEGGIO PER PUNTI

Questo metodo è senz’altro d’interesse, ma ancora largamente da sperimentare.

Il censimento per punti (point count) può essere effettuato secondo la metodologia indicata in Bibby et al. (1992) e Buckland et al. (1993). A questo scopo si individueranno una serie di punti di osservazione distribuiti casualmente all’interno del tessuto urbano, la cui distanza non dovrà comunque essere inferiore ai 150 m. In ciascuno di questi punti un osservatore sosterà per un tempo molto breve (inferiore 5 min. onde ridurre l’effetto dei doppi conteggi a seguito dei movimenti degli animali), durante il quale conterà gli animali visibili, determinandone la distanza relativa dal punto di osservazione. Dalla distribuzione del numero di avvistamenti in rapporto alla distanza dall’osservatore verrà determinata la “funzione di avvistabilità” degli uccelli e successivamente la stima di densità, secondo quanto indicato in Buckland et al. (1993).

Dato che questo tipo specifico di metodologia, indicato in letteratura con il nome di “variable circular plot” (Reynolds et al. 1989), non è mai stato saggiato in ambiente urbano, si stanno compiendo studi preliminari per determinare il numero necessario di punti da censire ed il numero e tipo di categorie di distanza in cui raggruppare le osservazioni, secondo quanto indicato in Buckland et al. (1993). La sua rapidità di esecuzione lo rende appetibile, anche come mezzo incrociato di valutazione dei risultati di un conteggio, ad es. per quadrati.

I TRANSITI LINEARI

Le basi operative del transetto lineare sono indicate in Bibby et al. (1992) e Buckland et al. (1993). Durante questo tipo di conteggio un osservatore segue un percorso predeterminato e scelto secondo un procedimento casuale, contando tutti i colombi posati sugli immobili o a terra e valutandone la distanza.

In maniera analoga a quanto riportato per la metodologia precedente, la lunghezza del percorso ed il numero e tipo di categorie di distanza in cui raggruppare le osservazioni sono in fase di studio, secondo quanto indicato in Buckland et al. (1993).

Una applicazione particolare del transetto è il cosiddetto “metodo delle strade” (Baldaccini in Ballarini et al. 1989) in cui si percorre una percentuale significativa (20-30 %) dello sviluppo stradale urbano registrando il numero di colombi avvistati. Si realizza così un “indice chilometrico” medio di abbondanza, che si può moltiplicare per lo sviluppo totale della viabilità, misurato su di una mappa di scala opportuna, ottenendo una stima attendibile della popolazione.

Quanto prima detto a proposito delle fonti di variabilità nella visibilità dei colombi, vale ovviamente anche per questi due ultimi metodi. Ne consegue, come elemento conclusivo generale, che la bontà di un metodo di censimento risiede soprattutto nella sua standardizzazione che assicura il massimo grado di ripetitibilità dei risultati nell’ambito dello stesso periodo e a parità di condizioni di applicazione. Tutti i metodi di censimento sono intrinsecamente relativi e tendono a dare risultati di tale carattere più che elementi assoluti.

Questo non è tuttavia un insormontabile difetto in quanto ciò che si chiede ad un censimento è una rappresentazione accettabile della realtà e soprattutto di essere sensibile alle variazioni numeriche della popolazione in studio. Per metodologie di controllo si intendono quelle azioni volte a ridurre il numero di colombi presenti in un’area agendo direttamente su di essi (catture, abbattimenti) o indirettamente sull’ambiente che li ospita, attraverso la manipolazione di fattori chiave (disponibilità di cibo, di posatoi, di rifugi).

Gli interventi di controllo hanno una scala di esecuzione molto differente, in quanto si va da quello gestito dal privato sul singolo immobile od un’area ristretta, fino ad interventi che coprono territorialmente interi centri urbani, promossi da Enti pubblici (Comuni, Province). Nel primo caso le tipologie di controllo si limitano in genere a dissuadere i colombi dallo stazionamento; nel secondo le strategie sono invece complesse e possono comprendere sia metodi diretti che indiretti di intervento.

In Italia, la più corrente, se non l’unica, misura riduttiva per lungo tempo proposta ed applicata è stata il diradamento delle popolazioni tramite cattura e soppressione degli individui. Raramente i piani di cattura sono stati tuttavia portati avanti con continuità e secondo strategie preordinate, mentre di regola si sono fatti interventi “una tantum”, spesso con la cattura di frazioni minime della popolazione esistente ed a carico dì bande di giovani non riproduttori.

Questi interventi non hanno alcun effetto duraturo ed anzi, così facendo, l’offerta alimentare per gli individui rimasti aumenta e contemporaneamente diminuisce la competizione per accedere al cibo, specialmente tra adulti e giovani, con un maggior tasso di sopravvivenza di questi ultimi. In conclusione i vuoti vengono presto colmati e per di più si produce un ringiovanimento della popolazione.

AGIRE A MONTE

La facilità con cui le popolazioni ritornano alle originarie dimensioni è legata soprattutto al potere riproduttivo dei colombi cittadini, carattere che deriva dal loro passato stato di domesticità, da razze quindi selezionate per l’alta riproduttività, oltre che dal complesso di fattori ecologici propri dei centri urbani.

In linea teorica, l’unico logico provvedimento per arrivare a frenare la crescita demografica e a ridurre le popolazioni, è quello di influire a monte sui due più importanti parametri che regolano le dimensioni delle popolazioni stesse: fonti di cibo e disponibilità di rifugi.

Seguire questa via significa operare in modo ecologicamente corretto, inserendosi in quelli che sono i meccanismi naturali di regolazione delle popolazioni, senza aggredirle con metodi tanto grossolani quanto inefficaci. Se qu¬sto rappresenta il giusto atteggiamento nell’approccio al problema, purtroppo ci si deve commisurare con quelle che sono le realtà operative realizzabili sul territorio in modo concreto.

Raggiungere il controllo dell’alimentazione e ancor di più quello dei luoghi di nidificazione può superare le normali capacità operative, specialmente nel caso di città con elevato numero di abitanti oppure con un grande sviluppo di quartieri storici urbanisticamente ed architettonicamente molto complessi. Questo non vuoi tuttavia significare l’abbandono di una linea di intervento ecologico che deve mirare almeno alla eliMinazione di quelle situazioni eclatanti spesso responsabili, da sole, del “sostegno” di intere colonie o parti di popolazione.

L’indagine sulle risorse trofiche disponibili, ha messo molte volte in evidenza entro la cerchia urbana di molte città, l’esistenza di industrie o magazzini di derrate alimentari capaci di sostenere troficamente migliaia di colombi. Egualmente un’indagine legata all’esistenza di ruderi (o simili) abitati dai colombi, rivela la presenza di vere e proprie colombaie in cui la riproduzione avviene in modo del tutto indisturbato.

E’ ovvio che simili situazioni devono essere emendate in prima istanza, indipendentemente dalla messa in opera di qualsiasi altro mezzo di controllo.

Si deve senz’altro rimarcare che, sebbene le considerazioni sopra espresse rasentino il lapalissiano, non sono tuttavia mai state il principio informatore delle strategie di controllo variamente applicate un po’ in tutto il mondo. Addirittura molte di esse sono state disegnate sulla base di scarse o nulle conoscenze della biologia del colombo; un classico esempio può essere quello dell’introduzione di emettitori di ultrasuoni, quando è ben noto che gli uccelli sono completamente insensibili ad essi.
Anche se essere esaustivi in questo campo è divenuto molto difficile, presentiamo qui di seguito un elenco delle principali metodologie messe in atto per scoraggiare o controllare la presenza dei colombi nelle città; su ciascuna di esse ci soffermeremo più o meno estesamente per illustrarne principi ed applicazioni.

REPELLENTI CHIMICI E FISICI

Per “repellente” va inteso qualsiasi mezzo, di tipo strutturale, fisico, chimico ecc. che senza danneggiare il colombo, lo dissuade dall’appollaiarsi, fermarsi ecc. nel luogo trattato.

Sul mercato ne esistono modelli diversissimi, puramente meccanici o basati su impianti elettrici, con una ormai riconosciuta capacità dissuasiva, specialmente quando vengono evitati errori di applicazione che in molti casi ne vanificano l’azione.

Sull’effettivo potere di dissuasione nei casi di nidificazione o semplice sosta, (vedi Haag-Wackernagel – DP5, giugno 2005), appare opportuno in questa sede rimarcare che gli effetti che conseguono al loro impiego non sono trascurabili, in quanto rendono non sfruttabili da parte dei colombi estese superfici, determinando situazioni di non ottimalità ambientale. Sopratutto in centri urbani di limitata estensione interessati da poche e localizzate colonie, rendere indisponibili i posatoi tradizionali può portare un non trascurabile contributo alla soluzione globale del problema infestativo.

Ovviamente anche nel caso di impianti di trasformazione o di stoccaggio di derrate alimentari, una congrua protezione passiva, che sia integrata da una forte attenzione ai particolari costruttivi e di impiantistica, diviene della massima importanza per evitare in seguito irrisolvibili infestazioni da parte dei colombi o di altri uccelli.

Si deve inoltre insistere sulla necessità, in fase progettuale, di una analitica previsione dei fattori di richiamo della struttura su eventuali specie presenti nell’area, così da operare le scelte più opportune in tema di forme architettoniche o materiali tali da non costituire incentivi per la sosta o la nidificazione.

DISSUASORI ACUSTICI ED OTTICI

A differenza di quanto disponibile per altre specie (Storno, Gabbiano reale e comune, ecc) non esistono per il colombo sistemi acustici di allontanamento specifico.

Come è noto questi sono basati su registrazioni di “gridi di allarme o di angoscia”. Il colombo non appare avere simili vocalizzazioni di allarme sociale e finora ricerche condotte per individuare emissioni sonore adatte a questo scopo, non hanno dato esisto positivo.

Sono tuttavia in commercio sistemi automatici di emissione di segnali acustici aspecifici, che non possono trovare però una applicazione in ambito cittadino per l’inquinamento acustico che producono.

Essi sono usabili esclusivamente in siti industriali o in agricoltura per spaventare e scacciare temporaneamente i colombi che sono dotati di un forte comportamento di assuefazione, spesso resistente anche a variazioni casuali della emissione sonora.

Sono stati recentemente introdotti sul mercato anche dissuasori ottici, basati sulla riflessione della luce solare che viene a produrre uno stimolo nocicettivo a cui l’animale risponde con l’involo.

L’applicazione è utile per grandi superfici (discariche, piazzali) su cui la stimolazione luminosa non incontra ostacoli e zone d’ombra; il potere di assuefazione appare minore che nel caso precedente.

CHIUSURA DEI LOCALI E DELLE CAVITÀ NIDO

La limitazione dei siti ottimali per la nidificazione, ossia di una delle risorse chiave per lo sviluppo di una qualsiasi popolazione animale, deve essere tenuta nella massima considerazione ai fini del controllo.

Come tipo di strategia rientra nel gruppo di quelle definite “ecologiche” ed ha dato significativi risultati quando applicata correttamente e su porzioni estese di territorio (Ragni et al. 1996). La chiusura di cavità nido attivamente frequentate, operata con rete, filo di ferro in gomitolo od altri mezzi (lastre in acciaio, laterizi), produce uno spostamento dei colombi ed una diminuzione della loro densità locale (Ballarini et al. 1989; Ragni et al. 1996).

L’intervento è duraturo, economicamente valido, tale da risolvere, spesso brillantemente, problemi localizzati di decoro ed igiene urbani. Un problema può essere rappresentato dai nidiacei presenti nelle cavità, che debbono essere rimossi ed eliminati in accordo con le norme sul benessere animale.

Se è ovvio che gli animali si spostino in un altro luogo conseguentemente alla chiusura dei loro rifugi, non è altrettanto ovvio che altrove trovino rifugi egualmente idonei e tali da assicurare un comparabile successo riproduttivo. Non è dunque esatto affermare che una tale pratica induca il solo spostamento del problema.

Un’estesa applicazione di questa strategia è invece capace di portare una significativa diminuzione delle potenzialità riproduttive nella popolazione interessata, determinando una rilevabile contrazione nella densità di colombi; deve quindi essere considerata metodologicamente valida in ogni situazione e specialmente nel caso di piccoli centri urbani dove gli effetti sono più tangibili.

TRAPPOLAGGIO E CATTURA CON RETI

Sono disponibili oggi sul mercato sia trappole che reti di tipo specifico ed altrettanti operatori che conducono routinamente tali operazioni. Le trappole del tipo “a nassa” ed a “gabbia trappola”, in cui i colombi entrano spontaneamente attirati dal cibo, sono da ritenersi le più idonee.

Posizionate in punti non accessibili liberamente (tetti, terrazze, cortili, campanili ecc.) possono rimanere in posto a lungo, assicurando una buona efficacia di trappolaggio non inducendo nei colombi particolare abituazione.

Altrimenti possono venir posizionate anche a terra in piazze, strade o giardini alle prime ore del mattino, quando il traffico è minore e non ci sono pedoni a disturbare la funzionalità delle trappole (ma attenzione a cani e gatti!).

Per quanto concerne le reti, se sono state usate soprattutto quelle di tipo “prodina” con chiusura comandata a scatto, oggi ne esistono dei tipi molto sofisticati, addirittura con meccanismi di comando brevettati.

Il problema tuttavia non è costituito dalla rete, ma dalla sua azione, spesso traumatica e tale da indurre nei colombi una veloce abituazione, così che se la prima cattura è facile, le successive possono non esserlo affatto! Una rotazione nei luoghi di cattura può tuttavia smorzare molto un simile effetto negativo.

Sono state applicate con un certo successo anche reti “a caduta”, mascherate in tettoie che coprivano piazzole dove quotidianamente i colombi ricevevano granaglie e dove erano abituati a riunirsi in gran numero.

Successo notevole è stato raggiunto anche con l’impiego di grandi voliere-trappola a cui i colombi avevano accesso dall’alto o lungo il perimetro di base. Tali strumenti consentono di catturare contemporaneamente centinaia di esemplari ed hanno trovato impiego nell’industria alimentare (piazzali di molini, pastifici); i colombi sono molto confidenti e possono rimanere nella trappola innescata con cibo anche per più giorni, semplificandone la sorveglianza.

Appare dunque chiaro che non esistono soverchi problemi di cattura; possono sussistere invece altre difficoltà conseguenti, prima fra tutte il destino dei soggetti. Noi crediamo che, qualora si sia scelta una simile modalità d’intervento, non esistano alternative alla soppressione eutanasica dei colombi catturati.

L’idea di liberare nelle campagne i colombi o di ospitarli in voliere è contraria ad ogni buon senso ed è stata in passato il frutto di scellerate accondiscendenze ad una distorta visione zoofila del problema. Per quanto riguarda l’efficacia nel tempo di interventi di sfoltimento, abbiamo già affrontato l’argomento in premessa a questo capitolo. C’è dunque la necessità di reiterarli regolarmente e l’unico fattore limitante è la facilità con cui i colombi continuano a farsi intrappolare.

Il problema della soppressione è ovviamente la demandare intera-mente ai Servizi Veterinari, una volta che i piani di cattura ed abbattimento sono stati pianificati e risolti nelle opportune sedi, prima fra tutte quella politica.

RIPOPOLAMENTO O REINTRODUZIONE DI PREDATORI

Il colombo ha in natura diversi predatori più o meno specifici, tra cui rapaci diurni e alcuni corvidi. Di questi è stata proposta la reintroduzione o il ripopolamento in varie città, quale mezzo di controllo dei colombi stessi.

Vorremmo qui sottolineare l’assoluta inefficacia di tali iniziative per i fini in oggetto, in quanto il prelievo attuabile dal più attivo dei rapaci nemmeno scalfisce la popolazione di colombi. Addirittura specie come l’Allocco, ritenuto da più parti predatore specifico del colombo urbano, solo saltuariamente lo insidia ed i resti ritrovati nelle borre di rigetto di questo rapace erano verosimilmente da ascrivere a carogne di colombi rinvenute casualmente dal rapace.

Non meno criticabile è l’uso di Falchi pellegrini anche per la delicatezza delle operazioni connesse, effettuate con animali provenienti dalla cattività.

L’uso estemporaneo di Rapaci addestrati, ha spesso trovato applicazione negli aeroporti per far alzare in volo gabbiani ed anche colombi dalle piste, ma questo fatto esula dal presente contesto.

Tra i Corvidi, la Taccola ha per abitudini specifiche un certo ruolo nella predazione di uova e nidiacei di colombo e un effetto di disturbo sugli adulti (allontanamenti temporanei). La presenza della Taccola non esclude tuttavia quella contemporanea del colombo anche dal medesimo immobile, e se c’è interazione, questa deve essere blanda e tale da non disturbare in modo significativo la presenza del colombo.

Nonostante questi dati di fatto, molte Amministrazioni hanno in corso progetti di reintroduzione di rapaci; essi si configurano come palliativi adatti solo a soddisfare la fantasia di zoofili ed ecologisti, senza contare che tali operazioni hanno un costo molto elevato ed una bassissima percentuale di successo nell’effettiva permanenza e sopravvivenza dei soggetti liberati in città.

A questo si deve aggiungere che le operazioni di reintroduzione di rapaci sono spesso molto criticabili dal punto di vista faunistico, specialmente quando non controllate dagli organi tecnici preposti (Istituto Nazionale Fauna Selvatica), potendosi risolvere addirittura in introduzioni (con questo termine si indicano le immissioni di esemplari appartenenti a specie, sottospecie o popolazioni estranee alla fauna italiana).

In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una forte incentivazione delle metodiche di riduzione della produttività dei colombi, ottenuta sia con il controllo dei siti di nidificazione disponibili, che con la sottrazione di uova e nuovi nati dai nidi od interferendo direttamente con i processi di produzione gametica tramite la sterilizzazione chirurgica dei maschi o quella chimica di entrambi i sessi (Ballarini et al. 1989; Johnston & Janiga 1995).

Da un punto di vista teorico tutte queste metodologie possono essere ritenute efficaci nel diminuire il successo riproduttivo degli animali, portando così ad una significativa riduzione del tasso di reclutamento all’interno della popolazione, ad un’alterazione del naturale assortimento in classi di età, ad una marcata senescenza e dunque ad una più problematica sopravvivenza della popolazione medesima.

La verifica empirica del presupposto teorico non appare tuttavia semplice, in quanto agli interventi messi in atto in concreto mancano quelle caratteristiche di continuità temporale necessarie per un’effettiva verifica. Inoltre i parametri demografici del colombo appaiono non indagati in maniera sistematica ed affidabile (si veda Johnston & Janiga 1995), è così difficile predire tempi e modi della contrazione numerica ricercata.

Visto il favore che le metodiche di riduzione della produttività stanno attualmente incontrando, specialmente se incruente, ne tenteremo una valutazione critica soprattutto in termini di applicabilità su campo.

Un accento particolare sarà posto sulle metodologie di sterilizzazione chimica, richiamando alcuni dati relativi alla valutazione dell’effettivo potere contraccettivo della nicarbazina, per la quale esistono in letteratura dati contrastanti. Infine, verranno presentate alcune considerazioni sulla reale efficacia nel controllo numerico dei colombi urbani delle metodiche di limitazione del potenziale riproduttivo, mediante l’analisi dell’andamento demografico simulato di una popolazione ipotetica (Baldaccini & Giunchi 2003).

SOTTRAZIONE DI UOVA DAI NIDI

Allorché applicata sui nidi presenti nel tessuto urbano, singolarmente od in colonia, non appare come una metodologia da seguire. La velocità di sostituzione della covata nel colombo (Johnston & Janiga 1995) e la conseguente necessità di raggiungere ripetutamente i nidi anche nel corso della medesima stagione non la rendono interessante né dal punto di vista dei risultati ottenibili né da quello economico.

Presentandosi come metodologia da perseguire ad libitum, con problemi organizzativi rilevanti, risulta solo raramente applicata.

Un suo impiego particolare è quello legato alla costruzione di “colombaie urbane” appositamente erette per attirare colombi e controllarne la deposizione con efficacia (Haag-Wackernagel 1995). Se il sistema nasce da antiche tradizioni di sfruttamento di questi animali a fini alimentari (Congedo 1986), bisogna sottolinearne l’onerosità di installazione e manutenzione, la possibilità che queste colombaie semplicemente incrementino i luoghi di concentrazione dei colombi, ed inoltre la mancanza di una casistica che ne dimostri la reale efficacia nel controllo della popolazione.

La loro installazione deve essere frutto di un’accurata analisi delle abitudini e della distribuzione dei colombi all’interno del tessuto urbano e può essere considerata non tanto come metodologia primaria d’intervento ma eventualmente inserita in un piano integrato di controllo.

STERILIZZAZIONE CHIRURGICA

L’obiettivo di questa metodica è quello di produrre sterilità per vasectomia nei maschi, riliberandoli nella popolazione di provenienza senza produrre variazioni nella sua densità.

Pur se applicata in diversi contesti urbani a partire dalla fine degli anni ’90 (Dinetti & Gallo-Orsi 1998), questa metodologia non appare aver mai dato alcun reale risultato in termini di contrazione delle popolazioni interessate. Se ne sono invece sottolineati in diversi contributi gli aspetti negativi di applicabilità (Baldaccini 1998, 1999), derivanti sia da considerazioni biologiche che di fattibilità pratica.

Uno dei punti più discutibili è l’effettivo raggiungimento di una quota significativa di individui riproduttori, sì da determinare una riduzione rilevabile del tasso di riproduzione della popolazione. Pur lasciando da parte gli aspetti etici (in quanto metodologia molto invasiva) se ne possono con difficoltà condividere i presupposti teorici, dal momento che sembrano prescindere da quelle che sono le caratteristiche demografiche, comportamentali ed ecologiche dei colombi di città.

In particolare:

  • Gli animali devono essere catturati; ciò non è alla lunga una cosa semplice. Dopo un iniziale successo diviene sempre più difficile avvicinare i colombi, con la complicazione che si riprendono anche quelli già operati, ovviamente riliberati;
  • Maschi e femmine di colombo sono esternamente indistinguibili, specialmente da giovani. Ogni lavoro scientifico sui columbidi che comporta la necessità di distinguere i sessi è preceduto da laparatomia dei soggetti. Chi ammette di saper distinguere maschi e femmine con sicurezza, incorre effettivamente in un altissimo margine di errore. Di conseguenza gli individui devono essere tutti ispezionati chirurgicamente;
  • La percentuale di esiti fatali non è affatto trascurabile; secondo opinioni espresse ad un convegno su “Controllo delle popolazioni ornitiche sinantropiche” (Istituto Superiore di Sanità, Roma 10-11 ottobre 1993) questo evento è l’unico aspetto positivo dell’operazione!
  • Degli animali catturati solo una minoranza rappresenta dei riproduTtori, gli altri sono giovani che non arrivano a maturità o che comunque si sarebbero riprodotti solo in parte. Con questa metodologia non si tengono in conclusione presenti importanti elementi della biologia del colombo, lo si tratta invece come fosse un animale da cortile ignorando che è sufficiente una modesta quota di riproduttori (mai intaccabile con la vasectomia) per mantenere stabile una popolazione di colombi urbani;
  • La metodologia comporta un dispendio di mezzi e personale assolutamente non proporzionale ai risultati raggiungibili, che nell’economia di una popolazione di colombi sono in ogni caso irrilevanti.

Come conseguenza di tutto ciò, la metodica di sterilizzazione chirurgica appare discutibile e senz’altro da abbandonare.

STERILIZZAZIONE CHIMICA

La disponibilità di molecole capaci di indurre sterilità attraverso un’azione primaria sulla gametogenesi è alla base di questa metodologia che ha ricevuto una forte attenzione a livello internazionale (si veda Johnston & Janiga 1995, per una sintesi sull’argomento).

La distribuzione su campo di un farmaco sterilizzante pone diversi problemi di ordine ecotossicologico, mentre la sua efficacia è legata sia all’effettivo potere di disturbo della gametogenesi che alle modalità di distribuzione determinate dalla sua posologia.

La possibilità di raggiungere (con continuità o meno, a seconda dei farmaci) una quota significativa dei riproduttori è, infatti, anche in questo caso elemento centrale per deciderne l’applicazione.

Baldaccini (1990, 1998) ha discusso le possibilità ed i limiti di questa metodologia, che appaiono tuttavia da riconsiderare alla luce di recenti acquisizioni sperimentali.

Attualmente in Italia risulta registrato un solo prodotto a base progestinica che, dopo un iniziale successo applicativo, non appare più usato. In diverse città italiane si è fatto invece uso di una formulazione a base di nicarbazina, recentemente registrata.

La nicarbazina è una molecola ad attività anticoccidica con effetti rapidi e reversibili sulla riproduzione delle galline, probabilmente determinata da un arresto della maturazione dei follicoli ovarici e da una diminuzione della concentrazione di colesterolo nel tuorlo (Hughes et al. 1991).

Nonostante le indicazioni negative riguardo alla sua efficacia antifecondativa nei colombi (Elder 1964), il suo uso a tale scopo è stato recentemente sperimentato in Italia sia in cattività che “su campo” (Martelli et al. 1993; Ferraresi et al. 1998, 2000). Allo scopo di approfondire le conoscenze riguardo la reale efficacia di questa molecola, già personalmente testata per tre anni consecutivi a Bolzano senza risultato visibile, il nostro gruppo di ricerca, in collaborazione con il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa, ha condotto una serie di prove su colombi urbani mantenuti in condizioni semi-naturali (Sbragia 2000).

La nicarbazina è stata somministrata ad libitum, per periodi di circa 150 giorni, a gruppi di animali, precedentemente assortiti in coppie dimostratesi fertili, sotto forma di pellet medicato, alla concentrazione di 500 o 800 ppm, oppure come granella di mais, già in fase di preproduzione industriale (Ovistop), alla concentrazione di 800 ppm.

La molecola si è dimostrata in grado, alla dose maggiore, di incidere esclusivamente sulla fertilità, determinando una riduzione della produttività totale inferiore al 40%, senza evidenziare alcun effetto di tossicità acuta e/o cronica. Gli effetti riscontrati sono stati quindi molto più limitati rispetto a quelli riportati nella letteratura più recente, dove viene evidenziata una riduzione della produzione delle uova e addirittura un azzeramento, del tutto non confermato, del tasso di schiusa (Martelli et al. 1993).

EFFETTI SIMULATI DELLA LIMITAZIONE DELLA PRODUTTIVITÀ IN UNA POPOLAZIONE IPOTETICA DI COLOMBI

L’effetto della riduzione della produttività su una popolazione ipote tica di colombi è stato indagato tramite tecniche di simulazione uti lizzando il software Vortex 8.42 (Miller & Lacy 1999) che permettE di includere nei modelli fenomeni di variabilità stocastica dei parametr demografici.

La popolazione di partenza è stata fissata in 10.000 in dividui adulti, caso sufficientemente rappresentativo della realtà italiana La popolazione è stata considerata demograficamente chiusa (senz immigrazione ed emigrazione) e non è stato incluso nel modello al cun tipo di evento catastrofico nel corso del periodo preso in esame.

Il tasso di mortalità è stato considerato indipendente dalla densità; questa semplificazione ha l’effetto generale di favorire gli effetti dei controllo della produttività, poiché non considera la diminuzione della mortalità degli animali durante la fase di contrazione numerica della popolazione. La capacità portante del sistema è stata fissata poco sopra il valore di partenza (11.000 individui), nell’ipotesi che le popolazioni urbane di colombo, considerata la loro elevata fecondità, la relativa assenza di macroscopici fenomeni di disturbo, nonché la sostanziale stabilità dell’ecosistema urbano, si siano assestate su valori numeric assai prossimi alla capacità portante del sistema stesso.

Tutte le simulazionI sono state condotte per un periodo di 50 anni, assumendo una distribuzione iniziale di età stabile, definita dai parametri di mortalità e fecondità immessi nel modello e reiterandolo 500 volte (Miller & Lacy 1999). Per maggiori informazioni sui parametri di costruzione del modello considerati, vedi Baldaccini & Giunchi (2003).

I modelli sviluppati nelle simulazioni sono stati di due tipi: in un caso non si è assunto alcun legame tra densità e riproduzione, nell’altro queste due variabili sono state considerate come dipendenti.

Questa assunzione rappresenta probabilmente una semplificazione, dato che alcuni dati raccolti a Basilea testimoniano una certa dipendenza del successo riproduttivo dalla densità (Haag 1991). Questo effetto è stato incluso nel modello ipotizzando che la proporzione di individui che si riproducono quando la popolazione è al suo massimo (cioè, alla carrying capacity) sia pari al 30% specificato in partenza e che questo valore aumenti in rapporto alla densità secondo una dipendenza quadratica (Fowler 1981; Miller & Lacy 1999) fino a raggiungere il 90% quando la popolazione è prossima all’estinzione.

Il valore 90% sembra essere ragionevole considerando le elevate potenzialità riproduttive dei colombi urbani, probabilmente determinate dalle loro origini domestiche (Johnston & Janiga 1995).

Il valore su cui si è agito per simulare differenti gradi di controllo della produttività è stato il numero di piccoli prodotti per anno. Sono stati considerati 5 differenti gradi di riduzione della produttività: 5% (C5%), 10% (C I 0%), 20% (C20%), 40% (C40%) e 80% (C80%). La variabilità del parametro è stata parimenti ridotta in modo da lasciare inalterato il valore del coefficiente di variazione (CV = 33% in tutte le simulazioni). Il controllo della produttività è stato protratto per 5, 10 oppure 50 anni.

Caso I : riproduzione indipendente dalla densità

La figura 2 illustra i risultati delle simulazioni ottenuti nel caso in cui la riproduzione sia considerata indipendente dalla densità di animali. Come si può notare, una riduzione della produttività pari o inferiore al 20% non determina un effetto rilevante sulle dimensioni della popolazione sul medio-breve periodo (1O anni), portando ad una riduzione massima di circa il 30%.

C40% produce effetti rilevanti solo nel caso di un controllo protratto per almeno 1O anni, portando ad una riduzione del 50% dopo circa 8 anni. E’ importante sottolineare che la sospensione del trattamento dopo 1O anni determina una ripresa piuttosto lenta della popolazione che, nel periodo considerato, non riesce a ritornare ai valori di partenza.

Questo effetto risulta owiamente molto più marcato nel caso di C80%. Già dopo due anni di controllo si registra una diminuzione di circa il 50%, fino a giungere in pratica ad un azzeramento degli effettivi dopo circa 12 anni.

A seguito di 1O anni di controllo costante la popolazione dimostra scarsissime possibilità di ripresa ed anche solo 5 anni di riduzione della produttività di questa entità si dimostrano sufficienti per determinare un effetto difficilmente compensabile nel corso dei rimanenti 45 anni considerati.

Caso 2: riproduzione dipendente dalla densità

Tutti i tipi di controllo considerati si dimostrano sostanzialmente inefficaci nel ridurre la dimensione della popolazione iniziale. L’unico effetto evidente si ottiene considerando C80%, che, nel caso di controllo continuo, porta ad un’estinzione della popolazione dopo ca. 40 anni.

Nei casi di riduzione della produttività per periodi di entità più ridotta, la popolazione dimostra evidenti capacità di ripresa nel giro di un breve lasso di tempo, ritornando ai valori di partenza dopo un periodo sostanzialmente analogo a quello in cui era perdurato il controllo.

Le strategie di limitazione della produttività come mezzo di controllo della popolazioni urbane di colombo paiono necessitare di una forte riconsiderazione. Da una parte abbiamo gli interventi di natura ambientale, in cui la strategia è diretta alla limitazione della risorsa chiave, rappresentata dai luoghi di nidificazione, capace di influenzare direttamente lo sviluppo numerico di una popolazione animale. La necessità di interferire “ecologicamente” sui parametri demografici è stata più volte sostenuta anche nel caso specifico del colombo urbano (Johnston & Janiga 1995; Haag-Wackernagel 1995); il caso della limitazione delle risorse alimentari (Haag-Wackernagel 1993) ne è una chiara dimostrazione ed egualmente degni di nota sono stati i pur rari esempi di riduzione dei siti-nido (Ragni et al. 1996).

Perseguire una bonifica ambientale quantitativamente significativa, con l’eliminazione dei siti coloniali di maggiori dimensioni nonché, a livello capillare, di quelli diffusi, deve essere considerata come una strategia da seguire primariamente.

Nel suo contesto rientrano anche le metodologie indirette di dissuasione, in quanto elementi capaci di peggiorare la qualità ambientale per i colombi. E’ ovviamente sui siti più significativi di nidificazione coloniale che debbono essere diretti gli interventi, spesso risolutivi, dei problemi generati da una localizzazione puntiforme dei colombi in piccoli nuclei urbani. Anche in condizioni di forte e diffusa densità di popolazione, l’eliminazione di “centri” di riproduzione può portare a significativi guadagni in termini di decoro urbano.

Appare indubbio che la quantità di risorse chiave, quali cibo e rifugi, determina direttamente la capacità portante di un nucleo urbano per tutta una serie di specie sinantropiche, tra cui ovviamente il colombo. E agendo su questi elementi che si possono raggiungere positivi e stabili risultati in termini di contrazione della popolazione.

Più spesso si è invece scelto di non intervenire sull’ambiente concentrandosi sugli individui. Co me appare chiaro dal commento alle varie metodologie, non si può sottolineare in tal caso il raggiungimento di risultati significativi. Ciò è dovuto in linea generale sia alla episodicità degli interventi, sia alla loro ristrettezza (nel senso di individui/siti effettivamente coinvolti), sia, infine, al tipo di metodologia, spesso non efficace per i fini proposti.

I modelli presentati, pur con i limiti insiti nei processi di simulazione, mettono chiaramente in evidenza che solo con interventi duraturi nel tempo e che coinvolgono frazioni elevate della popolazione residente si possono raggiungere dei risultati concreti.

Dei modelli proposti, quello che assume una dipendenza della riproduzione dalla densità, caso che appare il più vicino al reale, sottolinea in modo particolare questa esigenza, suggerendo che solo con un coinvolgimento pressoché totale della popolazione si hanno significativi riscontri in termini numerici. Sempre in questo caso risulta preoccupante la velocità di recupero della popolazione dopo la sospensione dei trattamenti; nell’opzione di indipendenza dalla densità, il modello evidenzia invece un’interessante lentezza della ripresa numerica. Ovviamente sarebbero necessarie evidenze empiriche per indagare il ruolo effettivo della densità nei processi di ripresa.

E’ inoltre opportuno sottolineare che i quadri proposti dipendono in maniera evidente dai parametri iniziali immessi nel modello. E’ presumibile che popolazioni con parametri demografici diversi reagiscano in maniera differente ai controlli delle potenzialità riproduttive ipotizzati.

Considerando comunque la dinamica delle popolazioni di colombo e la loro notevole resilienza in risposta a tutta una serie di operazioni di controllo già messe in atto in varie realtà urbane europee (Johnston & Janiga 1995), sembra comunque ragionevole assumere che l’andamento generale dei quadri proposti, e soprattutto di quelli relativi agli effetti di controlli di limitata entità, possano essere considerati sufficientemente generalizzabili.

Vagliando le metodologie passate in rassegna alla luce delle esigenze di limitazione della produttività evidenziate nelle simulazioni si può affermare che la sottrazione delle uova e, per i limiti operativi, la sterilizzazione chirurgica possono considerarsi sostanzialmente inefficaci.

Candidato putativo per avere un decremento apprezzabile ai fini del controllo permane la sterilizzazione chimica, almeno per le dimensioni di popolazione operativamente aggredibili (Baldaccini 1998). C’è tuttavia da chiedersi se al momento esistono le condizioni per operare in tal senso.

I risultati recentemente ottenuti e delineati in questo contributo pongono l’accento su due elementi fondamentali: l’efficacia delle molecole impiegate e il potere che queste hanno in termini di contrazio¬ne numerica delle popolazioni trattate.

La nicarbazina ha sul colombo di città effetti di diminuzione della produttività assai limitati, tali da apparire incongrui se pensiamo alle condizioni reali di distribuzione in campo. Aver infatti raggiunto soltanto un effetto di riduzione della produttività totale inferiore al 40% somministrando stabilmente il farmaco alla totalità del gruppo sperimentale non può dare alcuna garanzia in caso di distribuzione su campo, laddove la contattabilità dei soggetti può essere problematica.

Permangono tra l’altro le discrepanze nei risultati raggiunti con il lavoro originale di Martelli et al. (1993) in termini di efficacia sterilizzante, né si possono comprendere con i risultati ottenuti da Sbragia (2000) e con i quadri ottenuti dalle simulazioni qui presentate gli effetti su campo descritti da Ferraresi et al. (1998, 2000).

In queste condizioni crediamo doveroso sottolineare il gap attualmente esistente tra presupposto teorico ed applicabilità pratica delle metodologie che vengono correntemente suggerite agli utenti per la soluzione del problema colombi.

La storia naturale del colombo di città (Baldaccini in Ballarini et al. 1989) ne ha fatto un forte riproduttore, ben adattato a colmare la capacità portante degli ambienti in cui viene a trovarsi. Con quelli che sono attualmente i mezzi tecnici a nostra disposizione, la diminuzione della capacità riproduttiva degli individui come mezzo di lotta appare inadeguato. La ricerca futura dovrà fomire molecole sterilizzanti di ampia efficacia, di effetto duraturo nel tempo e con un impatto ambientale sostenibile.

Da questo quadro esce ancor più rafforzato l’approccio “ecologico” al problema, il quale indica nella riduzione delle risorse chiave disponibili per il colombo una via non certamente facile, ma da seguire primariamente ed eventualmente da integrare con ulteriori metodologie o strategie di lotta.

Indice: Le Popolazioni Urbane di Colombo
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