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DDT o Diclorodifeniltricloroetano

Il DDT o Diclorodifeniltricloroetano è un composto organico appartenente al gruppo degli organoclorurati, in passato ampiamente utilizzato come insetticida e, a seguito della sua riconosciuta tossicità, bandito in molti paesi.

La molecola del DDT fu sintetizzata in laboratorio nel 1874 dal chimico tedesco O. Zeidler, che, tuttavia, non ne identificò possibili applicazioni; solo nel 1939 il biochimico svizzero Paul Hermann Müller, successivamente insignito del premio Nobel (1948), ne verificò l’efficacia neurotossica contro zanzare, mosche tse-tse, pulci e pidocchi. Il DDT fu rapidamente adottato in ambito agricolo nel trattamento del suolo e delle sementi, e in campagne di prevenzione sanitaria, soprattutto per l’eradicazione della malaria, trasmessa dalla zanzara Anopheles, ma anche del tifo, della febbre gialla, dell’elefantiasi e di altre patologie veicolate da insetti endemiche nelle aree tropicali. Alla fine degli anni Cinquanta del XX secolo divenne l’insetticida più usato in tutto il mondo e permise di migliorare la produttività agricola di alcune coltivazioni e di ridurre la mortalità legata alla malaria.

Nei primi anni Sessanta si manifestarono sospetti sulla tossicità del composto nei confronti dell’uomo e degli ecosistemi. Tra le voci che ebbero maggiore risonanza vi fu quella della zoologa statunitense Rachel Carson, oggi considerata la pioniera del movimento ambientalista, che nel 1962, con il suo libro Silent spring, denunciò fra l’altro le gravi conseguenze sulle catene alimentari dell’insetticida. L’opera sollecitò vivaci polemiche che contribuirono ad avviare progetti di studio sugli effetti del DDT e di altri composti.

EFFETTI DEL DDT

DDT e pellicano bruno

Tra il 1950 e il 1970 le popolazioni di pellicano bruno, Pelecanus occidentalis, uccello marino delle coste atlantiche e pacifiche, sono state notevolmente ridotte dall’ingestione di pesce contaminato da residui di DDT e altri pesticidi. Per il fenomeno detto amplificazione biologica, la concentrazione dei composti chimici aumenta passando da un livello della catena alimentare a quello superiore. Dunque, se le concentrazioni di DDT non risultavano letali per i pesci, causavano danni invece nei pellicani che se ne nutrivano; in particolare, provocavano anomalie del guscio delle uova, per cui le nidiate non giungevano a termine. Dopo la messa al bando del DDT nel 1972, si è registrato un lento incremento della popolazione di questi uccelli.

La pericolosità del DDT, che è considerato cancerogeno, è correlata alla sua struttura chimica; poiché si tratta di un idrocarburo, non è solubile in acqua ma nei grassi; non si degrada facilmente e persiste nel suolo a lungo. Il risultato è che tende a concentrarsi sempre di più ad ogni passaggio della catena alimentare, fenomeno noto come amplificazione biologica o bioaccumulo. Le ricerche evidenziarono che i residui di DDT erano presenti nella maggior parte degli alimenti tra gli anni Cinquanta e Settanta del XX secolo, a causa delle massicce irrorazioni effettuate sulle colture agricole intensive; dimostrarono inoltre concentrazioni di DDT nel tessuto adiposo umano.

Ecologia del falco pescatore

Le popolazioni di falco pescatore, specie prevalentemente monogama, possono essere stanziali o migratorie; le prime si riproducono nei mesi invernali, le altre all’inizio della primavera. La femmina depone 3-4 uova a distanza di un paio di giorni l’una dall’altra. Le uova si schiudono nello stesso ordine della deposizione e vengono covate per circa sei settimane; la prole è inetta e deve essere nutrita dagli adulti. Dopo il primo mese, i piccoli raggiungono il 75% dello sviluppo; due settimane dopo spiccano il primo volo, lasciando definitivamente il nido; raggiungono la maturità sessuale verso i 3-5 anni. Il falco pescatore può vivere fino a 13-18 anni ed è considerato assai utile da un punto di vista ecologico per la rilevazione dei livelli di DDT e altri composti chimici nell’ambiente acquatico, cui è particolarmente sensibile poiché occupa il vertice della catena alimentare.

Si osservò che in alcune specie animali il DDT ha un’azione ormono-simile, causando squilibri endocrini. Fu scoperto, inoltre, che la drastica riduzione delle popolazioni di alcune specie di uccelli legati all’ambiente acquatico era dovuta all’eccessiva fragilità del guscio delle uova, a sua volta causata dal DDT presente nel pesce di cui questi uccelli si nutrivano; tra le specie colpite erano l’aquila dalla testa bianca (Haliaëtus leucocephalus), il falco pescatore (Pandion haliaetus), il pellicano bruno (Pelecanus occidentalis). Alcune specie di insetti inoltre svilupparono nel tempo una resistenza all’insetticida che ne vanificava l’impiego o ne rendeva necessarie dosi maggiori.

UN RISCHIO ANCORA PRESENTE

Il DDT fu bandito nel 1972 dagli Stati Uniti e dalla gran parte dei paesi industrializzati. È tuttavia ancora impiegato in molti paesi del terzo mondo, soprattutto perché è più economico di altri pesticidi di più recente formulazione. In questi paesi gli studi hanno evidenziato la presenza di residui di DDT nel latte materno, con rischio per i bambini allattati al seno; inoltre, l’esportazione di prodotti agricoli irrorati con il pesticida verso i paesi occidentali determina di fatto la reintroduzione anche laddove è stato formalmente vietato.

Una recente ricerca dell’università di Innsbruck ha rilevato che il DDT evapora al di sopra di Africa e India, regioni in cui è massicciamente usato, e rimane liberamente circolante in atmosfera nelle zone a clima caldo, mentre precipita in corrispondenza di zone a temperatura bassa; la conseguenza di questo fenomeno è la presenza del pesticida nelle acque polari (è stato trovato anche nelle foche e nei pinguini) e persino nei laghetti alpini a quote superiori a 2500 m. Pertanto, molti ritengono auspicabile l’estensione del bando del DDT in tutto il pianeta; altri, invece, considerano ancora valido l’uso del DDT in alcuni paesi perché l’urgenza di debellare la malaria, responsabile di milioni di vittime, sarebbe prioritaria rispetto alle preoccupazioni per possibili effetti cancerogeni a lungo termine.

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