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Il rischio c’è

IL RISCHIO BIOLOGICO È STRETTAMENTE LEGATO AL MESTIERE DELL’OPERATORE SANITARIO, SIA PER LE PATOLOGIE INFETTIVE DEI MALATI, SIA PER IL CONTATTO CON SANGUE, LIQUIDI ORGANICI, MATERIALE POTENZIALMENTE INFETTO, PER CITARNE SOLO ALCUNI

Il rischio biologico è la possibilità di un contatto fortuito con strumenti o materiale contaminati da sangue e/o altro materiale biologico proveniente da pazienti o materiali potenzialmente infetti.

Parlando del rischio biologico nelle strutture sanitarie, la doverosa premessa è che si tratta di un problema estremamente complesso da affrontare, e per molti motivi. Innanztutto, il rischio è molto diversificato, sia per il grande numero delle variabili (ambienti, personale, materiali…) sia anche per la difficoltà nel misurare l’esposizione al rischio con i metodi che si utilizzano per esempio nell’industria (come il monitoraggio ambientale e biologico dell’esposizione), e di conseguenza diventa anche difficile attivare efficaci misure di prevenzione.

Nella struttura sanitaria sono esposti al rischio biologico sia i lavoratori, sia i pazienti (o utenti, come si voglia chiamarli, ma in ogni caso, per chi è ricoverato in un luogo di cura, la pazienza è una dote obbligatoria, non un ghiribizzo semantico).

METODI DI VALUTAZIONE

Per avere parametri su cui basarsi per valutare questo tipo di rischio, gli esperti hanno studiato anche modelli matematici, ma nell’elaborarli, oltre alla complessità intrinseca, hanno dovuto affrontare anche la difficoltà data dalla mancata denuncia di molti casi (si pensa addirittura al 50%), con conseguente sottostima del fenomeno.

PREVENZIONE E PROTEZIONE

L’informazione e la formazione del personale, di visitatori e utenti è un punto di partenza importante, come importanti sono anche i fattori legati alla giusta scelta e al corretto uso di dispositivi di protezione individuale e collettiva.

A livello collettivo è necessario considerare le diverse aree e i differenti dispositivi utilizzati: si parla quindi di controlli nelle aree in depressione, che vanno fatti monitorando il parametro di contenimento di pressione e direzione dei flussi e i sistemi di filtrazione dell’aria in entrata e in uscita con filtri assoluti (tipo Hepa “High efficiency air filter”).

Anche la scelta di principi attivi o formulazioni per la disinfezione va effettuata con attenzione, considerando anche i tempi di contatto, i substrati, le caratteristiche di tossicità.

Per le cappe a flusso laminare e cabine di sicurezza, le caratteristiche di funzionalità ed efficienza vanno verificate non solo all’acquisto e installazione ma periodicamente, mentre il trattamento di decontaminazione delle reti di distribuzione dell’acqua è di grande importanza nella prevenzione dei rischi da Legionella o da altri agenti biologici che contaminano l’impianto idrico.

Per la prevenzione delle punture accidentali vanno usati dispositivi di sicurezza che eliminino o minimizzino i rischi per utilizzatore e operatori durante e dopo l’uso, attenzione quindi anche nella fase dell’eliminazione: i contenitori devono essere specifici per taglienti, liquidi biologici e reperti anatomici (per oggetti taglienti i contenitori devono essere rigidi, a bocca larga e imperforabili, con le caratteristiche indicate dal British Standard 7320. Per eliminare gli aghi chirurgici è corretto usare astucci calamitati e appositi attrezzi per rimuovere le lame dei bisturi).

I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

Per la cute: guanti – Utilizzare guanti protettivi monouso, in lattice (considerando anche il rischio allergico) e altro materiale idoneo, con marcatura CE come Dpi di terza categoria per la protezione da microrganismi (norma En 374, Dlgs 475/92).

Indossare guanti puliti prima del contatto con mucose e cute non integra, in presenza di soluzioni di continuo sulle mani dell’operatore, durante la pulizia e la raccolta di rifiuti o biancheria sporca. I guanti vanno tolti rivoltandoli verso l’esterno e, dopo la rimozione, ricordarsi di lavare sempre le mani.

È opportuno scegliere guanti monouso resistenti alla penetrazione di microrganismi, che però non proteggono a sufficienza in caso di punture o lacerazione: se non esistono guanti antitaglio efficaci in assoluto contro tagli e abrasioni, quelli in fibra para-aramidica offrono una buona resistenza al taglio, si sterilizzano in autoclave a vapore, e si possono utilizzare come sottoguanto in interventi chirurgici ad alto rischio di taglio/abrasione, lavaggio ferri chirurgici taglienti/pungenti.

Per il volto: maschere, occhiali, schermi facciali – Per proteggere le mucose di occhi, naso e bocca durante procedure e attività che potrebbero generare schizzi o spruzzi di sangue, liquidi corporei, secreti e/o escreti è necessario indossare maschera e occhiali protettivi, oppure schermi facciali, ricordandosi che proteggono da schizzi di liquidi o da particelle solide ma non in caso di aerosol.

I Dpi di viso e occhi devono limitare il meno possibile il campo visivo dell’utilizzatore, vanno trattati o dotati di dispositivi che impediscano la formazione di vapore acqueo, e i modelli per chi utilizza correzioni oculari devono essere compatibili con l’uso di occhiali o lenti a contatto; devono essere in materiale infrangibile e non devono recare danno in caso di rottura delle lenti. Questi Dpi devono avere ampio campo di visibilità e il sistema di chiusura sulla fronte conformato in modo che il bordo superiore sia chiuso il più possibile, per evitare che, in caso di contaminazione di fronte o testa, il liquido coli sugli occhi; la visiera deve consentire l’uso di occhiali correttivi e mascherina di protezione delle vie respiratorie.
Il dispositivo deve pesare poco, il materiale deve consentire la disinfezione chimica con disinfettanti d’uso comune senza compromettere le prestazioni del dispositivo.

Per le vie respiratorie – La scelta dell’adeguato Dpi va fatta secondo la dimensione delle particelle infettanti, considerando le caratteristiche dell’agente biologico che può essere trasmesso.

I dispositivi per essere efficaci devono racchiudere naso e bocca e avere buona tenuta sul viso, tenuta che non è garantita se l’operatore è mal rasato o porta barba e/o baffi. I materiali e i componenti di questo Dpi vanno attentamente scelti e strutturati in modo da assicurare l’igiene delle vie respiratorie durante l’uso.

La maschera (facciale filtrante) si deve da usare in situazioni che sottopongono l’operatore a esposizione diretta d’aerosol, ad alte concentrazioni di agenti infettanti oppure durante procedure che possono portare alla formazione di aerosol contagiosi, e la sua conformazione deve garantire aderenza al viso.

Per il corpo: indumenti di protezione – Devono proteggere l’operatore dalla contaminazione della cute ed evitare che gli indumenti si imbrattino per schizzi e spruzzi di sangue, liquidi corporei, secreti ed escreti. Sono quindi necessari camici adeguati, disponibili in diversi materiali, monouso e riutilizzabili, che devono garantire la protezione delle parti esposte.
Per questo, i camici devono essere lunghi 10-15 cm sotto il ginocchio e avere maniche lunghe, con estremità che aderiscono ai polsi, mentre la chiusura deve essere posta sul retro. Il grembiule monouso impermeabile, che viene usato in particolari situaoni (lavaggio e disinfezione degli strumenti chirurgici, svuotamento di contenitori con liquidi biologici) deve essere chiuso in vita e sul collo.

QUANTO CONTA IL FATTORE UMANO

Le norme ci sono, l’attenzione sulla carta è ineccepibile. Ma nelle strutture sanitarie da tempo esiste un grave problema attualmente non in via di risoluzione: la carenza di infermieri.

Secondo l’Ipasvi, al Centro Nord mancano 60.000 operatori: 26.000 per carenze rispetto agli organici; 32-35.000 alla mancanza dei posti dal 1997 al 2005 nei corsi di laurea triennale. Quale è la conseguenza? Facile la risposta, gli infermieri in servizio sopperiscono con straordinari e sul territorio i servizi non sono certo all’altezza delle aspettative (non parliamo di eccellenza, ma di “decoro”).

Il Rapporto Oasi 2005 del Cergas Bocconi, che fa il punto su questo fenomeno, afferma che a questa situazione si cerca di fare fronte importando infermieri dall’estero: sono stati 6.730 gli iscritti all’albo nel 2005 (in Italia soprattutto dai Paesi dell’Est), ma la soluzione non è vicina. E si sa che quando le condizioni non sono accettabili, vuoi per eccesso di lavoro vuoi per carenze strutturali, il rischio – ogni tipo di rischio – da possibilità eventuale diventa troppo spesso realtà da gestire.

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