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Lavoro = Sicurezza, Qualità, Benessere

Parlare deI lavoro significa addentrarsi in un argomento fondamentale della vita. Può essere definito il mezzo necessario per mantenersi e creare i presupposti della nostra vita attuale, ma non solo, è senz’altro lo strumento per svilupparla. E’ nomale cercare un’occupazione che permetta, oltre che di avere mezzi di sussistenza adeguati, di realizzare anche le aspirazioni di creatività e di riconoscimento sociale.

 Che lavorare quotidianamente non debba procurare danni alla salute fisica e mentale, dovrebbe essere sottinteso, anche se forse, non lo è quanto meriterebbe, se è vero che l’obiettivo della tutela e della salute del lavoro è stato stabilito dal Governo Italiano, per esempio, con la Carta 2000 per la salute e la sicurezza del lavoro approvata nella Conferenza di Genova nel dicembre 1999.

Le malattie professionali più o meno gravi, gli incidenti o i semplici infortuni che accadono sul lavoro sono solo la parte “visibile del problema. Ci sono molti altri aspetti che ampliano la questione, e che meritano seria considerazione come le patologie il cui insorgere non è forse causato direttamente dall’attività lavorativa, ma è facilitato da situazioni di lavoro (Work Related Disorders WRD – patologie correlate al lavoro). Inoltre, le tecnologie sempre più avanzate, i cambiamenti socio-economici e altri fattori hanno evidenziato altre condizioni di cui ora è necessario tenere conto. Ad esempio, il tempo dimostra in modo sempre più evidente la correlazione tra esposizioni professionali anche a dosi basse e diluite nel tempo, con problemi cronici che si sovrappongono ad effetti dovuti all’età e all’inquinamento ambientale. Oltre ai tumori e leucemie, altre patologie stanno emergendo e tra queste in particolare le patologie muscolo scheletriche (Work Related Musculoskeletal Dosorders – WRMD o Cumulative Traume Disorders – CTD), comprendenti principalmente le lombalgie, l’ernia del disco lombare o cervicale, la sindrome del tunnel carpale, le tendiniti della mano, del gomito, della spalla, tipicamente dovute all’accumulo di tensioni di tipo biomeccanico, come vibrazioni, postura inadatta, uso della forza, ripetitività dei movimenti.

Da non trascurare, né sottovalutare sono le malattie da definire meno “visibili”: secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, (OMS), si prevede che le malattie neuropsichiatriche in generale avranno un peso crescente sulla società, alcuni addirittura prevedono che i “disturbi da fattori relazionali” siano destinati a divenire la patologia da lavoro prevalente in futuro.

 

I rischi degli operatori del cleaning

La sicurezza sul lavoro è stata – ed è – uno tra i principali problemi che riguardano ogni categoria di lavoratori, e anche se il settore dell’edilizia risulta essere il più interessato in quanto, ancora oggi, è il campo lavorativo in cui si verificano il maggior numero di infortuni, a volte mortali, anche il settore delle pulizie merita una particolare attenzione, considerando attentamente tutti i rischi a cui va incontro il lavoratore di questo settore, a partire da quelli elettrici (avendo a che fare con macchinari), chimici (manipolando detergenti) e biologici.

La legge 626, ha strutturato questo settore, e l’attenzione è sempre maggiore, per l’evidenziarsi di problematiche diverse che vengono alla luce in base all’esperienza acquisita. L’Unione Europea, ha dimostrato una particolare attenzione: per esempio, con il 4° Programma Quadro ha lanciato un progetto di ricerca denominato: “Biomed 2”, che si svolge su molti livelli, comprendenti anche il settore del cleaning, con lo studio: “Il rischio nel lavoro delle Pulizie”.

Il summenzionato studio, che ha visto la collaborazione di molte università, ha impegnato nell’effettuazione di numerosi test, per un periodo di oltre quattro anni, ricercatori di Danimarca, Finlandia, Germania e Italia (nel nostro paese è stata coinvolta l’Università degli Studi di Milano). La ricerca ha evidenziato il fatto che gli operatori nel settore “cleaning” risultano essere esposti a seri rischi in relazione all’uso di attrezzature non adatte. Tutto ciò provoca danni fisici a medio e lungo termine, in modo particolare disturbi dell’apparato muscoloscheletrico, dovuti alla mancanza di ergonomicità delle attrezzature e dei macchinari specifici. Nell’80% circa degli uffici, scuole e istituzioni, la pulizia si svolge manualmente e con l’utilizzo di attrezzi manuali: il compito fondamentale dei costruttori e progettisti è certamente quello di sviluppare costantemente nuovi concetti per migliorare l’ergonomia di questi attrezzi con conseguente beneficio fisico degli operatori del settore..

A livello europeo ciò costituisce una sfida difficile perché nella maggioranza dei casi, le regolamentazioni attengono all’uso delle macchine elettriche e grandi utensili, trascurando spesso le attrezzature manuali di larghissimo uso. Tutto ciò ha ripercussioni economiche  rilevanti: statistiche citate anche in autorevoli riviste che si occupano del settore dimostrano che il 52% delle malattie da lavoro sono causate non dal uso improprio di macchinari elettrici bensì da piccoli e ripetitivi traumi provocati dall’uso di attrezzature manuali scarsamente adatte.

L’uso di macchine, che riducendo lo sforzo umano, migliora il benessere dell’operatore , non limita solamente i danni fisici, ma aumenta anche la produttività e la qualità del lavoro svolto. Purtroppo però anche i “macchinari” sono evidentemente, nel mirino del lavoro commissionato dalla UE. Se infatti, pur essendo all’altezza e sicuri per quanto riguarda rischi da fulminazione elettrica, in generale non tengono conto al livello di progettazione delle caratteristiche fisiche dell’utente che in questo settore risulta essere nella maggioranza dei casi di sesso femminile.

Un esempio lampante è dato dalla macchina  più comunemente utilizzata, la monospazzola,che spesso è adoperata per lunghi periodi continuativi: è importante quindi che l’attenzione, già a livello di progettazione sia focalizzata sulla ergonomicità e facilità d’uso dell’utensile. Lo studio commissionato dall’Unione Europea, ha messo in rilievo che anche sotto questo aspetto il problema chiave è una mancanza importante di informazione e addestramento del settore.

 

La qualità del lavoro

Che si stiano facendo sforzi per dare al lavoro di chi opera in questo settore il giusto valore professionale è innegabile. Riconoscere nella pulizia l’anticamera dell’igiene, riconoscerla cioè come un fattore base per il vivere civile, il progresso, la salute  e per il  benessere psicofisico (è estremamente improbabile lavorare bene o produrre inseriti in un ambiente degradato o polveroso), è senz’altro un obiettivo da raggiungere, tuttavia ai “professionisti del pulito” non è ancora generalmente riconosciuta una qualifica professionale adeguata, posta sullo stesso piano di ogni altro inquadramento lavorativo. Ci sono è vero eccezioni che si trovano inserite in realtà di tutto rispetto, per numeri e cultura, e che operano seguendo magari il concetto del Facility Management, ma le realtà vissute dalla stragrande maggioranza delle imprese che operano nel settore del “Cleaning” è molto diversa. In Italia il settore è frazionato nella maggioranza dei casi in microimprese, a cui non sono riconosciuti né ruolo sociale né professionalità adeguati.

Pensare però che il problema sia solamente italiano sarebbe un errore. La Francia, nonostante risulti essere più sensibile al problema e disponga di strumenti e strutture superiori, si trova ad affrontare simili difficoltà. In Francia, ogni regione gode di una certa libertà essendo strutturata con comparti e associazioni volti ad affrontare il problema, a dimostrazione di una certa sensibilità e vitalità: ma ciò non elimina le difficoltà. Per esempio, anche nelle regioni in cui i servizi costituiscono parte preponderante dell’economia, si evidenziano problemi molto simili ai nostri.

Le cifre statistiche frutto di ricerca, usate anche in riviste specializzate nel settore ci aiutano a capire. Regione Rhene-Alpes : vede operare sul suo territorio più di 1400 imprese che si avvalgono dell’operato di circa 39000 operatori e realizzano un fatturato di 1,206 miliardi di euro. Il 78% delle imprese sono costituite da 1 a 20 addetti, e solo il 7% hanno più di 100 impiegati, un quadro quindi, molto molto simile a quello presente nel nostro Paese. Anche per quanto riguarda l’immagine del settore “Cleaning”, sussistono problemi. Molto interessante è l’osservazione fatta ad un collega giornalista francese da Betty Vadeboin, consigliere al FARE (Fonds d’Action pour la Réinsertion et l’Emploi), che periodicamente, organizza giornate di sensibilizzazione: “La fatica di trovare personale è dovuta a tanti fattori conosciuti, come la mobilità, orari, il part time… ma anche per un deficit di immagine importante: troppo spesso la pulizia è un settore a cui si arriva perché non si è trovato nient’altro. Troppo sovente anche si immagina che non sia necessario nessun requisito perché, tutto sommato, ognuno fa i mestieri a casa propria,e pensa quindi di essere capace di lavorare in un’impresa”.

 

Guardare al futuro

Realisticamente parlando il quadro che emerge non è del tutto incoraggiante, ciò non di meno qualcosa all’orizzonte c’è. Questi piccoli spiragli di luce sono legati al fermento che si nota nel settore. Un fermento che parte dal riconoscimento del ruolo delle cosiddette “Risorse umane”. E’ innegabile che le risorse umane siano la base del patrimonio di un’azienda. Però tutti sappiamo che le risorse umane, nell’immaginario generale, non sono tutte sullo stesso piano: si può dire che nella nostra società un top manager come “risorsa umana” sia sullo stesso piano di un lavoratore del cleaning? Si può affermare che le risorse dell’uno siano impiegate per la valorizzazione della professionalità dell’altro? Ecco il nocciolo del problema!     

Il mondo del “cleaning” è però, come già accennato in fermento, ci si sta impegnando affinché anche questo settore benefici dell’ evoluzione generale evidente nel mondo del lavoro. Un esempio lampante riguarda infatti il cambiamento in atto relativo alle ore di svolgimento del lavoro di pulizia professionale: in Europa, da lavoro prevalentemente serale o notturno, per problemi di convivenza  con lo svolgimento delle attività negli ambienti da pulire, ci si sta indirizzando verso l’orario giornaliero. E’ evidente che, dato che la maggior parte del personale è costituito da donne (il 75%), questa scelta denota anche un maggior rispetto per le necessità del professionista che opera nel campo. Da non sottovalutare è una realtà: le “pulizie” sono un settore in costante crescita, sotto almeno due punti di vista basilari: la produzione industriale, grazie ad un’opera costante di ricerca e sviluppo e la qualificazione degli operatori del settore, cosa resa necessaria dagli ambienti diversi e dagli scenari più complessi che richiedono capacità professionali più elevate ed una qualificazione riconosciuta. Il mercato europeo del “Cleaning” vale annualmente 40 miliardi di euro… in crescita… Non è certo un capitolo chiuso.

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