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Il Vecchio Libretto Va In Pensione

IN SOSTITUZIONE AL LIBRETTO SANITARIO SONO GIÀ IN VIGORE, IN ALCUNE REGIONI D’ITALIA, I CORSI DI FORMAZIONE CHE PREVEDONO UNA MAGGIOR PREPARAZIONE DEGLI ALIMENTARISTI

Lo Stato ha legittimato le varie Regioni italiane a deliberare in – materia d’igiene al fine di perseguire l’obiettivo della sicurezza alimentare, con particolare riguardo per la prevenzione delle malattie infettive trasmesse da alimenti.

Ogni Regione ha deliberato criteri propri per la gestione dell’igiene alimentare, in base della classificazione delle mansioni a rischio.

La Regione Lombardia, attraverso la legge Regionale n.12 del 4 Agosto del 2003, ha portato dei cambiamenti radicali per gli operatori che lavorano a stretto contatto con le sostanze alimentari abolendo l’obbligo del libretto sanitario.

L’eliminazione del libretto sanitario non deve essere considerata come una diminuzione dell’attenzione alla formazione del personale alimentarista, bensì come un cambiamento rapportato alla diversa realtà che oggi ci troviamo ad affrontare.

In effetti, il Decreto Legislativo 155 del 26 maggio 1997 ha come obiettivo quello di perseguire la sicurezza alimentare, sia attraverso l’analisi dei rischi (tramite il “manuale” di H.A.C.C.P), sia con una formazione mirata ed un aggiornamento costante.

L’art. 4 comma 2 della legge regionale della Lombardia, disciplina quanto segue: “Gli operatori addetti alla produzione, somministrazione e distribuzione di alimenti sono tenuti a ricevere adeguata preparazione igienico – sanitaria prima dell’inizio dello svolgimento dell’attività lavorativa e ad essere aggiornati con periodicità biennale”. L’onere della formazione è a carico dei Datori di Lavoro, come definito dal D.Lgs 155/97.

COM’ERA PRIMA

Ma per comprendere la svolta dettata da questa legge Regionale occorre fare un passo indietro ed analizzare lo scopo che aveva il libretto sanitario.

Giova ricordare, infatti, che si tratta di un obbligo derivante da una legge del 1962, la n. 283, successivamente ripresa dal D.P.R. n.327 del 1980, in cui si prevedevano controlli clinici a cadenza annuale per i lavoratori alimentaristi, per poter escludere la presenza di malattie infettive.

In quel periodo, alcune malattie come colera, salmonellosi e tifo erano ancora presenti in Italia, quindi era giustificata l’individuazione di un portatore come mezzo preventivo.

L’unico elemento limitante era il controllo clinico annuale, che non era comunque sufficiente a coprire gli ampi periodi di positività dell’individuo alla malattia.

Il tampone faringeo, effettuato per la ricerca dello stafiloccoccus, non rappresentava inoltre un metodo sicuro di prevenzione, in quanto la causa delle infezioni non è tanto il batterio ma la tossina che produce.

Se analizziamo la situazione epidemiologica odierna, le cose rispetto al 1962 sono cambiate: tifo e colera sono di fatto scomparse se non in rari casi, in cui la malattia viene contratta in Paesi stranieri.

Tuttavia si è aperto l’orizzonte a nuovi microrganismi, molto più resistenti agli antibiotici ad ampio spettro quali: bacillus cereus, yersinia enterocolitico, alcune salmonelle minori e il pericolo di intossicazioni alimentari rimane ancora presente, anche se in modo più contenuto. E’ anche vero che la maggior parte di tossinfezioni alimentari sono legate ad una non corretta manipolazione o conservazione degli alimenti.

Quindi tale fenomeno spesso e volentieri si verifica all’interno delle mura domestiche, in quanto le aziende con il sistema di autocontrollo (H.A.C.C.P., 1997) hanno posto maggior attenzione sulla produzione e manipolazione degli alimenti.

Pochi, oggi, ritengono indispensabile una conoscenza delle norme igieniche da adottare quando si utilizzano alimenti deperibili e la prevenzione è passata, purtroppo, in secondo piano.

IL NUOVO QUADRO

Alla luce del nuovo quadro, il libretto sanitario è stato ri tenuto inadeguato e insufficiente, mentre risulta di primaria importanza andare a modificare il comportamento dell’alimentarista, adeguandolo alle norme igieniche necessarie per eliminare le infezioni.

Per poter ottenere risultati apprezzabili, non è sufficiente un semplice corso della durata di 4 ore, ma deve entrare nella cultura di ognuno di noi che il corretto comportamento è la prevenzione vincente per molte malattie infettive.

La Regione Lombardia ha dettato delle norme specifiche sulla modalità di formazione del personale alimentarista, stabilendo inoltre che i formatori devono possedere i requisiti professionali idonei ed essere costantemente aggiornati in materia igienico – sanitaria.

Sembra infatti inconcepibile che nel nuovo millennio i fattori di rischio per la trasmissione delle malattie attraverso gli alimenti siano gli stessi di 20 anni fa e che ci si ritrovi ancora a dover stabilire le basi minime di igiene personale.

IL CORSO DI FORMAZIONE PER ALIMENTARISTI

Molte Regioni hanno già da tempo emanato delle leggi, delle norme e delle linee guida per dare indicazioni sui contenuti che debbono possedere i corsi di formazione per gli alimentaristi. A seguito di ciò anche diverse aziende sanitarie hanno predisposto del materiale informativo e, pur riscontrando delle parziali differenze, le linee generali che vengono proposte hanno molti tratti in comune.

I contenuti a cui facciamo riferimento qui di seguito si rifanno in particolare alla documentazione che segnaliamo nella bibliografia.

I PRINCIPALI MICRORGANISMI CAUSA DI PROBLEMI EPIDEMIOLOGI

La presenza di microrganismi è legata ad alcuni fattori intrinseci all’alimento (attività dell’acqua, pH, presenza di sostanze nutritive…) o estrinseci (temperatura, umidità relativa, composizione dell’atmosfera durante la conservazione e la distribuzione) che inibiscono o promuovono la proliferazione nell’alimento della popolazione microbica iniziale.

Ogni microrganismo possiede, per ognuno dei parametri sopra citati, un valore minimo per la crescita, uno massimo ed uno ottimale, per valori superiori al valore massimo o inferiori al valore minimo il microrganismo non è in grado di moltiplicarsi.

Verranno analizzati i metodi di controllo per impedire la proliferazione microbica rapida; l’alimentarista non dovrà solo limitarsi a compiere correttamente il proprio lavoro, ma dovrà collegare gli effetti legati ad ogni decisione e soprattutto essere preparato per poter affrontare e gestire eventuali emergenze.

Verranno analizzati, in modo approfondito, i rischi connessi alle diverse fasi del ciclo di produzione degli alimenti, con particolare riferimento all’attività svolta dai soggetti interessati.

L’alimentarista dovrà conoscere le malattie di origine alimentare, provocate dai microrganismi patogeni soprattutto i batteri e saper il significato dei vari termini: infezioni, intossicazioni e tossinfezioni alimentari. Brevemente daremo queste definizioni:

  • le infezioni sono causate dalle ingestioni di microrganismi patogeni che si sviluppano nel nostro apparato digerente e producono tossine;
  • le intossicazioni sono causate dall’ingestione di tossine presenti nell’alimento e prodotte dal microrganismo prima del consumo;
  • le tossinfezioni sono provocate dall’ingestione di microrganismi e tossine.

L’IMPORTANZA DELLA TEMPERATURA E IL CONTROLLO DELLE MATERIE PRIME

La temperatura rimane sempre un punto critico nella fase produttiva (spesso si conservano alimenti a temperature errate, si raffreddano con metodi obsoleti e si cucinano rimanendo al di sotto della temperatura di sicurezza). Per comodità o per problemi organizzativi si cucina troppo tempo prima dell’effettivo consumo, e questo rappresenta uno dei fattori responsabili dell’insorgenza di tossinfezioni alimentari.

Altro tasto dolente è il controllo delle materie prime: con la tracciabilità di alcuni prodotti alimentari (carne bovina, settore ortofrutticolo, latte, uova e recentemente la carne aviaria) abbiamo la possibilità di conoscere l’intera storia del prodotto alimentare da noi acquistato, ma non siamo ancora in grado di conoscere lo stato igienico e microbiologico del prodotto.

Ecco perché, se da un lato è importantissimo saper correttamente leggere un’etichetta dall’altro non bisogna sottovalutare gli aspetti soprannominati di contorno: le condizioni igieniche del mezzo di trasporto e la temperatura durante il tragitto (alcuni fornitori sono in grado di fornire la strisciata per poter controllare se l’alimento è stato sottoposto a sbalzi di temperatura).

Non trascurabile è il fattore “tempo” che si impiega prima di portare alle condizioni normali di conservazione le nostre derrate: spesso le consegne avvengono in orari poco consoni e quindi si verificano tempi di attesa troppo lunghi prima del trasporto in celle frigorifere.

È opportuno conoscere anche le temperature di trasporto delle derrate alimentari e gli sbalzi a cui possono essere sottoposte.

Il protocollo di ricevimento merci va quindi rispettato e non si può pretendere di ottenere un prodotto di alta qualità trasformando derrate alimentari contaminate e di basso pregio.

Dalla firma della bolla di consegna l’alimentarista diventa il responsabile della corretta conservazione dell’alimento: il rapporto tempo-temperatura viene profondamente analizzato facendo riferimento ai microrganismi responsabili di intossicazione alimentare.

IL FATTORE UMANO

Altro punto critico è l’uomo quale fattore principale nella contaminazione di agenti patogeni al cibo: egli infatti si muove da un ambiente all’altro, utilizza varie attrezzature e viene a contatto con diversi alimenti e materiali trovandosi in condizioni ottimali per trasferire germi da un oggetto ad un altro o da se stesso all’ambiente esterno e viceversa.

Ecco che l’igiene personale e soprattutto quella delle mani (uso di saponi igienizzanti) appaiono importanti al fine di evitare il rischio di contaminazione.

Anche se le mani risultano apparentemente pulite, voglio ricordare che i microrganismi non sono visibili all’occhio umano e quindi occorre lavarle sempre:

  • Prima dell’inizio del lavoro
  • Dopo aver toccato cibi crudi e prima di toccare quelli cotti (fischio di contaminazione crociata);
  • Prima di passare da una fase di lavorazione all’altra;
  • Prima di servire qualsiasi alimento;
  • Dopo aver toccato i rifiuti e i suoi contenitori;
  • Dopo aver toccato soldi;
  • Dopo aver toccato scatoloni e imballaggi;
  • Dopo aver usato i servizi igienici;
  • Dopo essersi soffiati il naso o portato la mano alla bocca per colpi di tosse o starnuti.

Se si usano i guanti monouso, bisogna cambiarli ogni volta che, secondo le regole indicate sopra, si devono lavare le mani.

SANIFICAZIONE E PIANO DI DISINFESTAZIONE

Per i locali e le attrezzature deve essere definito un piano di sanificazione che ha lo scopo di specificare come pulire e disinfettare in modo corretto gli ambienti di lavoro (tenendo presente del tipo di sporco, del materiale da pulire e della tempistica del trattamento).

Con il termine sanificazione si intende quell’insieme di interventi e operazioni che portano, come risultato finale, l’asportazione dello sporco e la riduzione dei microrganismi da una superficie o da un oggetto.

La sanificazione prevede una serie di azioni collegate una all’altra che devono essere attuate nella giusta sequenza: pulizia-detersione-risciacquo-disinfezione-risciacquo-asciugatura.

Durante il corso vengono fornite le conoscenze di base per poter meglio identificare il detergente più idoneo a seconda del tipo di sporco presente (organico-inorganico) e si evidenziano i principi attivi dei sanificanti in commercio (a base di sali quaternari d’ammonio o di cloro).

Si guida l’alimentarista ad interpretare una scheda di sicurezza dei composti chimici utilizzati.

Per completare il tutto si introduce il Piano di Disinfestazione, che elenca quale tipo di trattamenti (derattizzazione, disinfestazione) vengono effettuati per combattere e prevenire i principali infestanti; con quale periodicità e con quali metodiche e prodotti.

Solitamente questi interventi vengono affidati a ditte esterne.

Ogni fattore di rischio, previsto nel Manuale di Autocontrollo, avrà una probabilità diversa di manifestarsi ed originerà un danno di una gravità più o meno elevata in funzione della propria pericolosità.

COME RICONOSCERE UN BUON FORMATORE

Un buon formatore deve saper individuare, tramite le poche informazioni che riesce ad ottenere dai suoi interlocutori, le problematiche che quotidianamente l’alimentarista deve affrontare, al fine di rendere il più pratico possibile il corso.

È inoltre consigliabile utilizzare un linguaggio di facile comprensione, spesso i termini scientifici riempiono la testa di nomi ma non chiariscono le idee.

Il personale addetto alla manipolazione degli alimenti deve comprendere l’importanza del proprio lavoro e i pericoli di contaminazione associati alle proprie mansioni, deve essere preparato ad affrontare in modo corretto gli imprevisti.

E, cosa più importante, la sola formazione non è sufficiente se poi non vengono messe in pratica le nozioni apprese.

Non ci resta altro che augurare a tutti gli operatori del settore un buon lavoro e sperare di essere in “buone mani”!

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