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Igiene negli allevamenti avicoli

L’INFLUENZA AVIARIA È UNA INFEZIONE DEI VOLATILI CAUSATA DA VIRUS INFLUENZALI DEL TIPO A; ESSA PUÒ INTERESSARE TANTO GLI UCCELLI SELVATICI QUANTO I VOLATILI DOMESTICI COME POLLI, TACCHINI E ANATRE. QUALI SONO I METODI E LE PROCEDURE PER MANTENERE UN CORRETTO STATO DI IGIENE?

Negli ultimi cinquant’anni si è verificata una profonda trasformazione nelle modalità di consumo della carne, e in particolare di quella avicola. Basti pensare che, alla fine degli anni sessanta, il consumo di carne avicola (galline, tacchini faraone ecc.) pro-capite degli italiani era poco meno di 11 kg e, nel 2004, tale consumo era passato ai 18,42 chilogrammi per persona con un consumo annuo di 1.067.000 tonnellate; la punta massima è stata nel 2001, con un consumo di circa 20 kg/pro-capite.

Le esportazioni italiane di carne avicola rappresentano circa il 11% della produzione totale, mentre le importazioni, prevalentemente dai paesi della zona dell’euro, non superano il 5%. L’avicoltura si è modificata, passando da un’attività marginale destinata prevalentemente al consumo familiare dell’allevatore, ad un’attività industriale orientata al mercato, divenendo il primo modello di zootecnia senza terra realizzato nel nostro Paese.

L’avicoltura rappresenta oggi, nell’economia italiana, un comparto molto interessante: nel 2004 la produzione lorda vendibile totale è stata di 2.670 milioni di euro (per il pollame 1.760 milioni e quella relativa alle uova ha raggiunto i 910 milioni). La produzione di uova nel 2004 è stata di 13 miliardi di pezzi pari a 822.00 tonnellate, con un consumo pro-capite di 222 uova.

Secondo l’UNA (Unione Nazionale dell’Avicoltura), le preferenze del consumatore hanno fortemente modificato l’offerta delle carni di pollame: nel 1986 il pollo era venduto per il 45% intero, per il 53% in parti e per il 2% sotto forma di preparazioni e prodotti trasformati; per il tacchino invece, le cifre erano del 3% di intero, 96% di parti sezionate, l% di prodotti elaborati e trasformati.

Nel 2004, sempre secondo le stime dell’UNA, la ripartizione dei consumi di pollo è stata la seguente: 16% int¬ro, 65% sotto forma di parti sezionate (petti, cosce ecc.), 19% di prodotti elaborati (pollo ripieno o completato con odori o contorni, spiedini, hamburger, salsicce, involtini, ecc.) e trasformati (wurstel, arrosti, cotolette, polpette ecc). Per la carne di tacchino i dati dell’UNA indicano: 2% di intero (in particolare in occasione delle festività natalizie), 80% di parti sezionate (fesa, cosce, sovraccosce, ossobuco ecc.), 18% sotto forma di prodotti elaborati e trasformati (fesa arrosto, wurstel ecc.)

L’INFLUENZA AVIARIA

L’influenza aviaria è una malattia infettiva dei volatili domestici e selvatici. E’ causata da un virus RNA, della famiglia Orthomyxoviridae, genere Orthomyxovirus tipo A.

I virus influenzali aviari si sono adattati a replicare principalmente nell’intestino degli uccelli acquatici (anatre, oche, germani, pivieri), e sono scarsamente capaci di replicarsi nell’uomo. Tuttavia, date le caratteristiche genetiche dei virus influenzali, hanno la capacità di andare incontro a mutazioni, e di formare ibridi virali (per riassortimento genetico) in caso di contemporanea infezione da parte di virus aviari e umani. Ciò potrebbe consentire di originare varianti in grado di diffondersi in modo efficiente nell’uomo; e verso i quali non vi è attualmente protezione immunitaria.

I casi umani di infezione da virus aviari ad oggi riportati sono rari (nel mondo, circa un migliaio dal 1997 ad oggi), e sono dovuti al contatto diretto con uccelli infetti, e non a trasmissione interumana.

L’uomo si può infettare solo attraverso il contatto diretto con uccelli infetti o morti di influenza aviaria, soprattutto per via respiratoria, a causa degli aerosol che si possono formare durante le fasi di manipolazione degli animali. Non sono stati evidenziati casi di trasmissione attraverso il consumo di alimenti prodotti da animali infetti.

Il virus dell’influenza aviaria è particolarmente resistente alle basse temperature (ciò spiega l’elevata diffusione nel periodo autunno-inverno). Rimane vitale per lunghi periodi nelle feci, nei tessuti e nell’acqua, mentre viene distrutto a 60° in tre minuti, ed è inattivato da disinfettanti come formalina e composti iodati.

Attualmente l’influenza aviaria è diffusa in diversi paesi del Sud Est Asiatico, in particolare in Cina, Vietnam, Corea e Tailandia. L’influenza aviaria, causata da virus H5N1 ad alta patogenicità, è presente in forma pressoché endemica nei volatili. Nel sud est asiatico si sta registrando da qualche tempo, la circolazione di uno stipite di virus H5N1, un sottotipo verso cui la popolazione umana non ha immunità, e che può infettare l’uomo, ma non è ancora in grado di trasmettersi efficacemente da uomo a uomo, caratteristica fondamentale per provocare una pandemia.

L’attività di sorveglianza sull’influenza aviaria in Italia è coordinata dal Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione — Direzione Generale Sanità Veterinaria e degli Alimenti del Ministero della Salute, che si avvale del supporto del Centro di referenza Nazionale per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. Su tutto il territorio nazionale è in atto un sistema di sorveglianza che interessa le varie fasi produttive della filiera avicola (allevamento-macello).

Tale sistema è in grado di identificare in tempi brevi nuove introduzioni di virus influenzali.

La diffusione di ingiustificati allarmismi sul rischio di pandemia di influenza aviaria, ha causato effetti negativi sul consumo alimentare delle carni bianche, con pesanti ripercussioni economiche ed occupazionali sull’intero settore avicolo. Dallo scoppio dell’allarme mediatico, in Italia abbiamo assistito a una reazione da parte dei consumatori senza paragoni in Europa: negli altri paesi dell’UE il calo medio dei consumi di carni avicole è stato solo del 2-3%, da noi ha toccato punte del 60%.

Un’indagine condotta dalla Coldiretti sulle opinioni degli italiani in fatto di alimentazione ha dimostrato come le notizie sull’influenza aviaria abbiano cambiato le abitudini di acquisto del 53% degli italiani. Tutto questo ha danneggiato uno dei settori zootecnici più importanti del nostro paese: da agosto a fine novembre 2005 sono state invendute circa 25.000 tonnellate di pollame.

Occorre quindi che i media facciano uno sforzo comune per promuovere una corretta informazione, e riavvicinare i consumatori all’utilizzo delle nostre carni bianche, di alta qualità e così importanti per una dieta alimentare equilibrata.

GLI ALLEVAMENTI

Gli allevamenti avicoli in Italia sono più di 500.000, dislocati soprattutto in Veneto, (oltre 70.000), in Campania (circa 61.000) nel Lazio (più di 58.000), inToscana ed Emilia Romagna (oltre 40.000) e decrescendo: le Marche, l’Abruzzo, il Piemonte, l’Umbria.

Se andiamo invece a controllare il numero dei capi per ogni regione, al primo posto troviamo ancora il Veneto, che distanzia notevolmente Emilia-Romagna e Lombardia; molto indietro le altre regioni italiane.

PRODUZIONE DI CARNE

Dagli anni ’90 l’attenzione è stata rivolta a tutti gli aspetti correlati con il benessere, la salute degli animali e la qualità delle produzioni.

Il binomio igiene-qualità, peraltro più o meno intimamente connesso con la classificazione merceologica delle carni, ha dunque assunto un’importanza preponderante, non solo per il notevole interesse scientifico-applicativo, ma anche per la maggiore attenzione rivolta, specie in questi ultimi anni, dalla Commissione della Comunità Europea alla tutela del benessere degli animali e alla salute del consumatore.

Per il pollo da carne si è preferito l’allevamento a terra, su 7-10 cm di lettiera permanente, con l’applicazione del “tutto pieno – tutto vuoto” ed un intervallo sanitario di 7-14 giorni fra un ciclo e l’altro (da 4 fino a 7-8 cicli l’anno), per le pulizie e la disinfezione.

La densità non deve superare i 30-35 Kg di peso vivo/mq al carico per la macellazione (da 9-10 a 15-18 capi/mq, secondo l’età di macellazione, il ceppo, il sesso, il sistema di ventilazione del pollaio, la stagione). Infine non va dimenticato che la gestione oculata degli animali e la cura, in termini ragionevoli, del loro benessere hanno contribuito a ridurre gli stress legati all’allevamento intensivo, ampiamente criticato, ma che rappresenta un male necessario.

PRODUZIONE DI UOVA

Gli allevamenti avicoli per la produzione di uova possono essere di varia tipologia:

  • allevamento all’aperto, le galline per alcune ore del giorno possono razzolare in un ambiente esterno, le loro uova sono deposte nei nidi oppure deposte sul terreno e raccolte in seguito dall’allevatore;
  • allevamento a terra, le galline ovaiole si muovono liberamente, ma in un ambiente chiuso, solitamente un capannone. Anche in questo caso le uova sono deposte nei nidi oppure vengono raccolte dagli allevatori sulla lettiera dove sono state deposte;
  • allevamento in gabbia (o batteria), le galline si trovano in ambienti confinati, dove depositano le uova su un nastro trasportatore che le porta direttamente al confezionamento;
  • allevamento biologico, si differenzia da quelli sopra riportati solo per il luogo in cui sono allevate le galline ovaiole, l’allevamento biologico obbedisce alle regole stabilite per tale tipologia di produzione e gli animali razzolano all’aperto per alcune ore al giorno.

In Italia, le uova prodotte a livello intensivo, negli allevamenti che hanno più di 350 capi, sono state nel 2003, 10 miliardi e 405 milioni, di queste ben il 96% è stato prodotto in batteria. In Europa la situazione non cambia molto, l’87% degli allevamenti sono orientati al sistema in batteria.

I PROBLEMI IGIENICI NEGLI ALLEVAMENTI

Il Decreto Legislativo 26 marzo 2001 n. 146, dà indicazioni in relazione alla protezione degli animali negli allevamenti e alla igienicità degli ambienti in cui sono allevati, tra l’altro:

  • i materiali che devono essere utilizzati per la costruzione dei locali di stabulazione e, in particolare, dei recinti e delle attrezzature con i quali gli animali possono venire a contatto, non devono essere nocivi per gli animali e devono poter essere puliti e disinfettati;
  • i locali di stabulazione e i dispositivi di attacco degli animali devono essere costituiti e mantenuti in modo che non vi siano spigoli taglienti o sporgenze tali da provocare lesioni agli animali;
  • la circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la temperatura, l’umidità relativa dell’aria e le concentrazioni di gas, devono essere mantenute entro limiti non dannosi per gli animali;
  • le attrezzature per la som¬inistrazione dei mangimi e di acqua devono essere concepite, costruite e installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di contaminazione degli alimenti o dell’acqua e le conseguenze negative derivanti da rivalità tra gli animali.

Nell’allevamento intensivo sono numerosi i fattori che condizionano direttamente la salute degli animali e ne compromettono di conseguenza la produttività. Tra questi le condizioni igienico-sanitarie dell’allevamento stesso; queste fanno parte di un piano più ampio di controllo, la cui attuazione rappresenta il presupposto per il mantenimento di un livello elevato di salute degli animali e, di conseguenza, anche della salubrità dei prodotti alimentari da loro ottenuti.

L’allevatore agisce sull’ambiente dove vivono gli animali, deve cercare di impedire l’ingresso dei microrganismi nell’allevamento, e se presenti, alla loro diffusione mediante l’eliminazione; lo scopo è in ogni caso di ridurre la carica microbica ambientale, eliminando al massimo il rischio di contatto per gli animali con gli agenti patogeni.

Occorre quindi provvedere a tutte quelle operazioni di pulizia e disinfezione che si applicano per il risanamento delle strutture ed attrezzature presenti negli allevamenti, compresi gli spazi esterni. Tali misure possono essere applicate anche in presenza di animali; in questo caso non si tratta di procedure radicali e per questo non permettono di ottenere un risultato assoluto, obiettivo questo della disinfezione in assenza di animali.

In questi casi può essere ben utilizzato un sanificante a bassa tossicità a base di polibiguanide, ad una concentrazione dello 0,5%.

DETERSIONE DEI CAPANNONI

A fine ciclo, quando non c’è più la presenza di animali, si svuota il ricovero di tutte le strutture ed attrezzature che si possono spostare e si procede al trattamento della lettiera con antiparassitari e sostanze ad azione disin¬ettante, in modo tale da poter essere asportata senza il pericolo della diffusione degli agenti patogeni nell’ambiente esterno.

A questo punto si procede ad una detersanificazione con detergenti a schiuma a base clorattiva: il prodotto viene applicato con una particolare lancia schiumogena utilizzando idropulitrici ad alta pressione.

Si lascia agire il detersanificante per 15 minuti circa in modo tale da poter penetrare nello sporco e di ammorbidirlo, successivamente si procede al risciacquo ad alta pressione (100-150 bar) in modo da eliminare facilmente tutte le incrostazioni di materiale organico, substrato indispensabile alla sopravvivenza e alla persistenza dei microrganismi patogeni nell’ambiente. Particolare attenzione dovrà essere data ai soffitti dei capannoni, alle superfici verticali e alle vetrate dove lo sporco si annida ed è più difficilmente eliminabile di quello presente sui pavimenti.

DETERSIONE DEGLI ABBEVERATOI

Queste attrezzature sono normalmente incrostate di calcare, molte volte frammisto a sostanza organica, si opera quindi con detergenti sanificanti a base di acidi forti quali l’acido cloridrico, che inglobano sostanze tensioattive cationiche a base di poliquaternari d’ammonio. Si procede per immersione e successivo risciacquo con idropulitrici.

SANIFICAZIONE

I batteri e i virus possono sopravvivere per alcuni mesi se protetti dal materiale organico, mentre le spore di alcuni batteri possono mantenersi all’infinito nel suolo o nelle anfrattuosità degli edifici. Gli stessi coccidi possono sopravvivere per anni negli allevamenti.

Con la sanificazione si vuole distruggere i microrganismi patogeni, la maggior parte dei quali non sopravvive a lungo fuori dell’organismo animale, ma spesso anche se breve, il tempo è sufficiente per causare infezioni.

Operata quindi l’operazione di detergenza, si procede ad una disinfezione con prodotti chimici. I prodotti più usati, oggi, negli allevamenti avicoli sono:

  • a base di cloro attivo (ipoclorito di sodio stabilizzato, fosfati clourati);
  • a base di acido peracetico e acqua ossigenata, fortemente ossidanti;
  • a base di polibiguanide (bassa tossicità);
  • a base di aldeide digluatarica e poliquaternari d’ammonio. A base di fenoli, questi prodotti erano una volta molto utilizzati ma ora sono in forte diminuzione d’uso.

Poco utilizzati l’acido formico e la formaldeide, quest’ultima in quanto sospetta di cancerogenicità.

COS’ LA DISINFESTAZIONE

Comprende l’insieme delle misure destinate a controllare gli agenti di parassitosi, endoparassiti ed ectoparassiti, con trattamenti a base di sostanze antiparassitarie ad azione insetticida, acaricida, vermifuga, antiprotozoaria ed antimicotica.

Di particolare importanza è la lotta contro le mosche ed altri insetti che possono trasmettere agenti patogeni di malattie infettive.

Gli edifici devono essere tenuti in buono stato di manutenzione, in modo da prevenire l’accesso agli animali ed eliminare i potenziali luoghi di riproduzione e in particolare:

  • le porte verso l’esterno devono essere a tenuta e, possibilmente, a chiusura automatica, nel caso non fosse possibile, è bene apporre chiare indicazioni sull’obbligo di mantenere le porte chiuse;
  • le finestre apribili verso l’esterno devono essere munite di una rete protettiva, rimuovibile e lavabile;
  • le aperture esterne di condotte e tubazioni devono essere protette per impedire l’ingresso di animali infestanti;
  • all’interno dello stabilimento devono essere eliminate tutte le possibili sedi di rifugio degli animali, quali crepe e buchi sui muri e sui pavimenti;
  • evitare che sostanze organiche (materie prime o rifiuti) siano abbandonati senza protezione.

È necessario un programma di intervento programmato: il monitoraggio e la disinfestazione è bene siano fatte da una ditta esterna speciaLizzata (iscritta all’apposito registro previsto dalla normativa vigente).

DERATTIZZAZIONE

La lotta sistematica ai roditori, in particolare topi e ratti, deve essere compresa in un piano di profilassi diretta in modo da ottenere la loro eliminazione, se non totale, almeno portata a livello elevato, per evitare:

  • fatti di panico tra gli animali;
  • consumo di mangime;
  • introduzione negli allevamenti di malattie come la salmonellosi, la leptospirosi ecc.

Per prevenire l’infestazione di ratti e topi, è necessario porre in atto tutte le misure atte a evitarne l’ingresso, la movimentazione, l’insediamento e la proliferazione all’interno dei locali dell’allevamento.

Il controllo di roditori, topi e ratti, si effettua:

  • adottando norme generali di prevenzione che consistono nell’applicazione di mezzi per impedire l’accesso e la moltiplicazione, installando griglie e reti a maglie strette ai chiusini di scolo e agli apparati di ventilazione; in ogni caso prestare attenzione a chiudere tutte le aperture chiudibili;
  • concentrare in un’unica zona, lontana dal luogo di produzione, tutti i contenitori di raccolta e stoccaggio dei rifiuti;
  • con trattamenti a base di sostanze topo-ratticide.

PREVENZIONI GENERALI

È buona norma posizionare all’ingresso dell’allevamento delle vasche riempite con una soluzione disinfettante, in modo tale che gli automezzi passino nelle vasche e si attui una disinfezione delle ruote dei mezzi di trasporto. È un fattore importante soprattutto quando gli automezzi passano presso molti allevamenti e quindi potrebbero essere i portatori involontari di microrganismi patogeni.

Altra norma importante è quella di dotare di calzari e camici i visitatori dell’allevamento la cui presenza deve essere rigorosamente regolata da un protocollo disposto dal responsabile dell’allevamento.

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